Frigoriferi, elefanti, sentimenti. Dialogo con Nicla Vassallo

Stefano Bigliardi Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Filosofa di fama, specializzata al King’s College London, Nicla Vassallo è professore ordinario di Filosofia teoretica presso l’Università di Genova. Le sue ricerche hanno innovato settori della filosofia della conoscenza e della scienza, della metafisica, dei gender studies. La sua figura di intellettuale si distingue per l’eleganza, il rigore e la consapevolezza della propria funzione pubblica. Autrice, coautrice, curatrice di oltre centocinquanta pubblicazioni, della sua produzione ci limitiamo a ricordare alcuni tra i volumi italiani più recenti: Il matrimonio omosessuale è contro natura: Falso! (Laterza 2015), Breve viaggio tra scienza e tecnologia con etica e donne (Orthotes 2015), La Donna non esiste. E l’Uomo? Sesso genere e identità (Codice Edizioni 2017), Non annegare. Meditazioni sulla conoscenza e sull’ignoranza (Mimesis 2019) [1].

Stefano Bigliardi (SB): “Quali sono i tuoi sentimenti in questo momento? E come ‘filtra’, una mente filosofica come quella di Nicla Vassallo, la situazione attuale?”.

Nicla Vassallo (NV): “Stando in isolamento in casa, come ci hanno prescritto, mi percepisco imprigionata, benché in contatto ‘a distanza’ con amici e colleghi, soprattutto inglesi. Il mio ‘filtro’ filosofico è attivo, più che mai.

Mi pongo domande in controtendenza. Tre esempi: stiamo vivendo da esseri umani? Fare tutto a distanza non sta forse creando un ‘muro’ che sarà difficile abbattere? Che ne sarà dell’amore? Da filosofa della conoscenza assisto con una certa rabbia alla costante disinformazione: ci vengono trasmesse troppe credenze prive di una giustificazione epistemica, ossia di una giustificazione tendente alla verità”.

(SB): “Non credi che i filosofi possano avere un ruolo di richiamo (nel senso di sollecitazione) rispetto al grande pubblico? Non possiedono, certo, un’approfondita competenza scientifica, che è quella che serve nell’immediatezza dell’emergenza, ma possono esortare al senso critico”.

(NV): “Senso critico? Condivido. La situazione attuale ci attesta con chiarezza che il metodo induttivo non è affatto un buon metodo. Per rifarsi al celeberrimo esempio di Bertrand Russell: c’era una volta un tacchino che per 364 giorni era stato nutrito alla stessa ora e che, per un’induzione niente affatto avventata, aveva finito con l’attendersi che ciò sarebbe accaduto a lungo. Un giorno, tuttavia, in occasione di una festività, gli fu tirato il collo. Come il tacchino, noi, nella vita quotidiana, ragioniamo induttivamente, dando per scontato, per esempio, che il nostro frigo non si trasformerà in un elefante, siccome finora non è accaduto. Il Covid-19 fa cadere il nostro cieco confidare nell’induzione. Le nostre vite sono trascorse per anni senza Covid-19 e ci attendevamo che così sarebbero proseguite, invece…”.

(SB): “Nessuno pensava alla pandemia come rischio concreto, è vero, se per ‘nessuno’ intendiamo persone senza un retroterra in campo epidemiologico. Ma, se mi consenti di offrire un punto di vista moderato, o meno pessimista, al momento quello che non posso più dare per scontato è, specificamente, che una pandemia non sia una possibilità concreta. In precedenza era un concetto che a malapena mi sfiorava (tutt’al più in occasione della visione di certi film). Pur ‘traumatizzato’ (psicologicamente ed epistemicamente), però, proseguo col dare per scontato che il mio frigo non si trasformerà in un elefante e direi che dispongo ancora buone ragioni per farlo. Forse, insomma, potremmo mettere ordine tra le nostre conoscenze, o meglio tra le nostre credenze, al fine di scartarne alcune e stabilire una gerarchia di probabilità tra quelle che scegliamo di conservare come tali, e criticare soprattutto ‘noi’ intesi come specifici soggetti dotati di una certa competenza (o incompetenza), noi che, erroneamente, abbiamo trattato varie eventualità come fossero tutte ugualmente improbabili. In altre parole, per me, fino a un mese fa, una pandemia era alla pari della trasformazione del mio frigo in un elefante, ma vari esperti non potevano escludere il rischio di una pandemia. Pensa che c’è un video di George W. Bush il quale (rifacendosi, sia chiaro, a degli esperti; sappiamo che non è né un rappresentante né un fan del pensiero critico e scientifico!) parlava dei rischi delle pandemie già nel 2005. È un esempio paradossale, ovviamente. Ma un’esperta divulgatrice ‘di casa nostra’, Barbara Gallavotti, ha pubblicato il libro Le grandi epidemie: come difendersi, a maggio 2019 (Donzelli). Caso, colpa, o limitazione mia, allora, se invece di leggerlo e di prestargli l’attenzione che meritava mi sono occupato di altro, mettendo una pandemia sullo stesso piano di un pachiderma scaturito da un elettrodomestico. Ecco, forse il Covid-19 mi porta a ripensare e ri-ordinare le mie induzioni più che a dubitare di tutte le induzioni”.

(NV): “Non saprei. Credo che non si dovrebbe partire da chi ha più volte mentito, come Bush, o dalla divulgazione giornalistica, quale quella di Gallavotti, bensì seguire, per esempio, cosa viene riferito dalla fisica, che sta utilizzando i propri ‘strumenti’ per comprendere il COVID-19. Penso al CERN di Ginevra, diretto da Fabiola Gianotti, che ha  ufficialmente espresso l’intenzione di usare le risorse e competenze del CERN per contribuire alla lotta contro la pandemia. Dichiarazioni simili si sono ascoltate anche da parte del presidente dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, Nichi D’Amico, che ha sottolineato come nell’astrofisica moderna si studino e utilizzino tecnologie avanzate il cui sviluppo è fondato su collaborazioni interdisciplinari”.

(SB): “Non mi hai però risposto sul ri-ordinare le proprie induzioni”.

(NV): “Non credo sia possibile, perlomeno nella vita quotidiana, ove, inconsapevolmente, ragioniamo sempre induttivamente. Ragioniamo, in ogni caso male, anche quando sappiamo come si dovrebbe ragionare. Gli scienziati seri, invece, prestano massima attenzione ai metodi scientifici che impiegano nelle loro ricerche, e la loro cautela è una questione di responsabilità nei confronti di coloro che scienziati non sono”.

(SB): “La mia impressione è che i ricercatori siano cauti sulle prospettive a lungo termine. Questo può ispirarci (‘-ci’ sta sempre per noi non-scienziati) ad andarci piano, per così dire, con le ‘grandi profezie’. Ma mi sembra anche che ci siano delle ‘micro-informazioni’ (se vogliamo chiamarle così per paragone a speculazioni su scenari vasti e estesi nel tempo), delle ‘micro-informazioni’, dicevo, su cui siamo legittimati a nutrirci di persuasioni, nonché a difendere il parere degli esperti, per esempio rispetto a contro-informazioni superstiziose o infondate. C’è ancora poca chiarezza sull’uso delle mascherine, d’accordo. Non sappiamo se il virus circolerà meno con il caldo. Ma sappiamo, per lo meno, che dal virus non ci si protegge in determinati modi (con il succo di limone, per esempio) o che certi comportamenti sicuramente facilitano la trasmissione (tossire senza coprire la bocca, per esempio, o accalcarsi in luoghi chiusi). Forse in questi casi si può, come intellettuali pubblici, ascoltare i pur cauti esperti e difendere queste, che chiamavo ‘micro-informazioni’ (ma che sono di grande portata pratica) dall’assalto o dalla competizione di altre credenze ingiustificate e dannose, contribuendo a correggere il senso comune”.

(NV): “Il ‘senso comune’, la competenza degli ‘esperti’, il confine tra quanto è pratica giustificata e quanto non lo è, rimangono comunque temi da non dare per scontati.  Nei Promessi Sposi si narra, come è noto, della peste. Manzoni scrive: ‘Il buon senso c’era ma se ne stava nascosto per paura del senso comune’. Da filosofa non posso che chiedermi: e ai tempi del Covid-19? Per rispondere compiutamente alla domanda occorrerebbe un complesso ragionamento, a partire dal chiarimento del significato di ‘buon senso’ e ‘senso comune’. E poi prendiamo, per esempio, le istruzioni secondo cui occorre lavarsi le mani più volte al giorno. A livello intuitivo ne cogliamo in qualche modo la ragione. In effetti, però, ci affidiamo agli esperti. Il problema filosofico legato alla definizione degli ‘esperti’ è nato ben prima del sopraggiungere del Covid-19, e lo si coglie attraverso alcune domande. Le principali: come facciamo a riconoscere un esperto, nel caso, che si verifica assai spesso, in cui si sappia poco o nulla della materia in cui l’esperto è esperto? Inoltre, che fare se due o più esperti di una medesima materia ci forniscono ‘pareri’ diversi, a volte addirittura opposti? Tale problema è di pertinenza della teoria della conoscenza. Ai tempi del Covid-19 lavarsi le mani si è trasformato in una sorta di automatismo. Raramente si pensa a ciò nella sua veste simbolica. Come ci suggerisce la Treccani.it, la condanna a morte di Gesù fu decisa da Pilato non perché Pilato fosse convinto della colpevolezza di Gesù, ma in quanto sospinto dalle grida della folla. Il cedimento di Pilato fu simboleggiato dal gesto di lavarsi le mani. Il lavarsi le mani rimane il gesto di chi, avendo incarichi di responsabilità, evita ipocritamente o pavidamente di assumere una qualche ragionevole posizione. Da qui l’enunciato lavarsi le mani come Pilato, o lavarsi le mani di qualche cosa, o lavarsene le mani, ovvero declinare ogni responsabilità. Ne segue una domanda filosofica: chi sta oggi agendo al pari di Pilato? E ancora, pensiamo alla misofobia (dal greco mysos, sporco e phobos, paura). Si tratta di una paura patologica del contatto con lo sporco, di una incontrollabile necessità di evitare qualsiasi tipo di contaminazione, contagio, germe. Coloro che ne soffrono incrementano le precauzioni igieniche all’inverosimile. Se, da una parte, parecchia psicologia prosegue nell’insistere che, pure nella nostra attuale situazione, ci si trovi al cospetto di una patologia, ben più diffusa rispetto ai tempi pre-Covid-19, come filosofa, invece, sollevo l’ennesima domanda: un comportamento ‘giudicato’ fobico rimane sempre tale, oppure, a seconda delle condizioni, si trasforma in una sorta di comportamento salutare? Riflettiamoci”.

(SB): “Permettimi di rilanciare. Manzoni scrive quel passo suggerendo appunto che il ‘buon senso’, inteso come insieme di credenze (e pratiche) utili e proficue, all’epoca della peste era oscurato da un ‘sentire comune’ mal guidato, incline a identificare false cause, a prendere pseudo-precauzioni, inutili o dannose, e a puntare il dito contro presunti untori, con terribili effetti sanitari e sociali. Manzoni evoca pur sempre una distinzione tra ‘buon senso’ e ‘sentire comune’. Oggi, forse, abbiamo più strumenti per seprarare l’uno dall’altro, o per fare sì che il primo rimpiazzi il secondo. Tu stessa, introducendo il tema del lavarsi le mani come simbolo, ti rifai alla Treccani.it. Non un testo scaturito dalla testa di Zeus, ma che è stato costruito da una serie di esperti attraverso un processo strutturato. Non mi hai detto che hai trovato quell’informazione su Facebook, e se lo avessi fatto io avrei come minimo alzato un sopracciglio. Vero, ‘lavarsi le mani’ ha anche un valore metaforico nel senso di disinteressarsi (epistemologicamente, eticamente) di qualcosa, ma questo non mi turba. Come tante espressioni ha un significato concreto e uno figurato. Che quest’ultimo sia negativo e contrasti con la ‘bontà’ del lavarsi le mani in senso concreto non è che una delle infinite curiosità del linguaggio umano. Quando un medico mi dice che è opportuno che mi lavi le mani so che cosa intende, e lo so anche se, in riferimento a una situazione, mi suggerisce che me ne lavi le mani (perché, attenzione, c’è anche una piccola differenza formale tra le espressioni). Per di più, se ‘disinteressarsi di qualcosa’ ha un senso negativo vuol dire che istintivamente ne riconosciamo uno positivo all’interessarsi. E allora, ci si può chiedere, tra i tanti, qual è il modo più sensato e proficuo di interessarsi di qualcosa. Nel caso di Pilato, che è all’origine del modo di dire, problematico non fu il lavarsi le mani in quanto tale (magari, come misura igienica ebbe pure una sua utilità, quel giorno lontano!), ma il fatto che il prefetto romano, pur disponendo di strumenti più affidabili per farsi un’idea sulla situazione e prendere una decisione ponderata, scelse affrettatamente o vilmente di ascoltare la folla, optando in buona sostanza per non decidere in prima persona. Avrebbe potuto condurre un’indagine più accurata, anche se poi la mancata condanna di Gesù avrebbe determinato una serie di problemi che sono ben felice di lasciare alla teologia. Tra l’altro, secondo i cristiani di Etiopia, che lo venerano, Pilato ci ripensò, si pentì, e si convertì. Quanto all’altro punto che sollevi, cioè se una condotta psicologicamente motivata dalla fobia possa avere conseguenze corrette, penso che in questo caso il problema si risolva da sé: appunto, la condotta è fobica ed eccessiva ma il risultato specifico è in fin dei conti proficuo. Spegnere una candela con una secchiata d’acqua non è il metodo migliore, ma la candela tutto sommato si spegne. Riconoscere questo mi sembra ben diverso dal fare l’elogio della fobia. Con questo non voglio banalizzare i problemi filosofici che sollevi. Il mio punto è: se nel nostro stesso discutere il problema degli ‘esperti’ ci rifacciamo a degli esperti, allora dovremmo cercare di elaborare una riflessione critica sì, ma non nichilista e paranoica (per usare un’altra categoria psicologica) che saremmo i primi a non saper mettere in atto. Sempre Manzoni scrive, di Don Ferrante, che disquisiva cervelloticamente sulla peste (oscillando tra posizioni ‘negazioniste’ e spiegazioni astrologiche) e che poi ‘su questi bei fondamenti, non prese nessuna precauzione contro la peste; gli s’attaccò; andò a letto, a morire, come un eroe di Metastasio, prendendosela con le stelle’. Ammetto che sia difficile tenere un giusto mezzo tra scetticismo ‘sano’ e scetticismo ‘paranoico’ o ‘nichilista’ o ‘cervellotico’: tema appassionante e complesso. È anche importante non scadere nell’anti-intellettualismo. Ma Manzoni credo suggerisca che si può tentare di tracciare una linea tra quanto è pensiero ben giustificato e ‘proficuo’ e quanto non lo è. Non possiamo almeno fare dei ‘piccoli passi’?”.

(NV): “Sono d’accordo sui ‘piccoli passi’, ma anche sul non arrendersi nel caso di possibili sconfitte. In questo momento, la teoria della conoscenza deve riconoscere il proprio bisogno di tener conto delle acquisizioni scientifiche sul Covid-19. Non deve tuttavia mancare una costante attenzione critica nei riguardi dei dilemmi sollevati dal metodo scientifico.

Un ‘piccolo passo’: affidare alle scienze il compito di risolvere problemi (il Covid-19 non costituisce, forse, un ‘bel’ problema?), e, al contempo, indagare quali scienze risultino conoscenze, insieme a molto altro. Tutto ciò risulta specialistico, e inaccessibile ai più, pure a qualche scienziato.

Boccio senza esitazioni il desiderio, o, addirittura, la smania di riconoscimento personale di parecchi scienziati. Alla maggior parte di questi, si debbono, oltre a comparse televisive, dichiarazioni tuttologhe, perentorie e saccenti, volumetti divulgativi, spesso sempliciotti, costruiti ad hoc per il grande pubblico.
Alla divulgazione abbiamo già accennato. Qualche approfondimento non risulta del tutto inutile. In proposito, tuttavia, rimango scettica. Si ‘divulga’ qualcosa quando si giunge all’apice di un certo settore conoscitivo e si riesce a tradurre questa immensa specializzazione in parole accessibili al grande pubblico. Il grande pubblico, però, non è abbastanza istruito, specie in Italia, e si lascia affascinare dalla notorietà del personaggio.

Un ottimo divulgatore? Carlo Bernardini, fisico di solidi interessi filosofici e strabiliante umiltà [2]”.

(SB): “Chi divulga fa del suo meglio, poi occorre un terreno fertile e ricettivo, e questo deve ispirare ancora una volta delle riflessioni sul ruolo degli intellettuali, sulla comunicazione della conoscenza, sull’istruzione pubblica e sulla necessità della buona filosofia, quella ragionata”.

(NV): “Una mia riflessione filosofica ha a che vedere con la relazione tra natura e cultura. Il Covid-19 ‘tira un po’ le orecchie’ all’umanità, nel senso che abbiamo maltrattato abbondantemente la natura, natura che si ribella in modo prepotente. Questo per semplificare, dato che ci risulta ormai difficile distinguere nettamente tra natura e cultura. Vi sono, inoltre, filosofi con buoni argomenti contro l’esistenza delle cosiddette leggi di natura”.

(SB): “Anche su questo, permettimi di offrirti un punto di vista moderato. Sono d’accordo con il tuo discorso se lo prendiamo in senso metaforico per veicolare un insegnamento normativo: ‘siate d’ora in poi più cauti nel modo in cui vi rapportate all’ambiente!’ Ma attenzione, ritengo anche che sussista un sottile rischio nel personificare la natura, suggerendo un ‘animismo’ che a lungo andare ispirerebbe nozioni superficiali, inutili, e fuorvianti. La cautela prescritta sarebbe pur sempre in riferimento a dati fattuali e scientifici, non al non ‘pestare i piedi’ alla natura. Non c’è una ‘Signora Natura’ con una volontà cosciente e vendicativa, anche se può sembrare utile, pedagogicamente, concettualizzarla come tale”.

(NV): “Parli di utilità e interpretazioni, e giustamente ti richiami anche al fattuale. Troppi credono solo a ciò che risulta loro utile, e non a ciò per cui dispongono di buone giustificazioni epistemiche: lo considero una sorta di crimine. Il motto ‘non ci sono fatti bensì solo interpretazioni’ è un’allucinazione di tanti filosofi sull’orlo del precipizio, benché siano convinti di trovarsi sulla cresta dell’onda. Un semplice controesempio: per accedere al mio studio c’è una porta. Lo considero un fatto. Se  mi dovessi convincere che è utile interpretare quella porta come non esistente, il risultato sarebbe che sbatterei costantemente contro di essa, facendomi male, ma anche quel dolore, sempre che si confidi solo nelle interpretazioni e non nei fatti, sarebbe un’interpretazione. E il Covid-19, o la condizione umana, sarebbe un’interpretazione? Non scherziamo!”.

(SB): “Che cosa ne pensi di chi ‘filtra’ i fatti presenti attraverso una prospettiva religiosa?”.

(NV): “Anche qui si aprono spazi di riflessione. Epistemologicamente mi sembra sensato attestarsi su posizioni agnostiche visto che non disponiamo né di prove che Dio esista, né che non esista; ne abbiamo discusso in un’occasione precedente [3]. La pandemia, come il  terremoto di Lisbona del 1755 per Voltaire, dovrebbe portare a una riflessione sulla teodicea, sull’attribuzione di giustizia a Dio, posto sempre che Dio esista. Una tale discussione, almeno in Italia, non la rintraccio. Forse una buona lettura sarebbe il Candide del 1759”.

(SB): “Se provi a fare uno sforzo di immaginazione (sottolineo: di immaginazione, ben consapevoli che potrebbe essere del tutto ingiustificato) e vedi un mondo che, a un certo punto, esce dall’emergenza sanitaria, ma ferito, nello spirito e nelle risorse, quale pensi possa essere il ruolo della filosofia e degli intellettuali in quel ‘dopo’?”.

(NV): “Il ‘dopo’ per il momento lo possiamo immaginare sulla base di congetture e confutazioni. Mi auguro che se ne esca, sempre che se ne esca, trasformati. La trasformazione che considero migliore dovrebbe essere improntata a una maggiore solidarietà, profondità, alla scomparsa di ‘galletti’ e ‘gallette’. Ognuno al proprio posto, ovvero, niente tuttologi, insieme alla consapevolezza socratica di sapere di non sapere.

Purtroppo, causa la crisi economica, di cui, al momento, percepiamo solo qualche sintomo, e che assumerà proporzioni a cui di persona non abbiamo mai assisto, è possibile che delle università, poco accorte e lungimiranti, investano le proprie risorse solo in dipartimenti con un numero ‘decente’ di immatricolati. Le famiglie che si potranno permettere di iscrivere i propri figli e figlie all’università opteranno per studi che in teoria, ma non in pratica, dovrebbero garantire un lavoro. A Genova, in questo periodo, in virtù della totale assenza di discussioni, nel dipartimento cui ‘appartengo’ è di recente iniziato un insensato reclutamento di portaborse.

Nel caso (caos?) in cui la filosofia diventasse marginale, preferirei che, pur tra i tagli, si salvasse quel suo ramo che ci conduce a ragionare, sollevando domande che sconfiggono ogni certezza. Non è difficile. Basta non dare credito ai filosofi di grido, agli amanti del potere, ai narcisi. Invito tutti i vertici, non solo universitari, a farlo. Non fa male dare un’occhiata alle discipline che i college britannici a cinque stelle (la massima valutazione, ma da loro a contare è la qualità, non la quantità come invece accade da noi) hanno prediletto per affrontare la crisi economica, ben prima di quella che il Covid-19 ci sta riservando.”

(SB): “Io sono scettico rispetto a profezie ottimistiche secondo cui le condizioni attuali sarebbero una cornucopia di opportunità e ne usciremo tutti più buoni, nemmeno fosse Natale (che comunque, com’è noto, non ha quell’effetto e, nei pochi casi in cui ce l’ha, non è duraturo). C’è chi elogia a tal punto la situazione che verrebbe da dire ‘se il virus è così buono, allora se non ci fosse bisognerebbe inventarlo!’ Ma tornando a te, tu cosa farai?”

(NV): “Sempre che sopravviva, rimarrò a Genova, purché l’università e i suoi dipartimenti seguano, a differenza del passato, una saggia ‘politica’, che premi i migliori e che, in ogni campo filosofico, spazzi via molti inutili insegnamenti, nonché i poteri baronali, che, al momento, stanno purtroppo dominando le menti di troppi colleghi e colleghe. Ad ogni modo, non escludo una possibile ‘svolta estera’, al fine di coltivare al meglio il mio essere filosofa ragionante, fuori della provincialità e dai ‘giochi sporchi’”.

(SB): “Ti trasformerai in un cervello in fuga?”.

(NV): “Giammai! Da giovane mi sono specializzata a Londra, pur essendo accettata a Oxford; la stessa Oxford mi ha consigliato di rivolgermi a Londra, al King’s, dato che per le mie ricerche avrei trovato lì un fertile terreno. Oxford non sbagliava. La mia permanenza di un solo anno a Londra – sono rientrata a causa della morte improvvisa di mia madre che aveva solo 52 anni –  ha mutato profondamente il mio ‘zoom’ sulla filosofia. Il mio stretto legame, amicale e intellettuale, con filosofi del calibro di Chris Hughes, Jennifer Hornsby, Mark Sainsbury, Anthony Savile non si è mai spento, anzi. Da una parte, mi sono sempre recata spesso a Londra, dall’altra ho invitato loro, altrettanto spesso, a Genova, nella totale incomprensione dei miei colleghi e di troppi studenti e studentesse. Comprendo bene i cervelli in fuga. Eppure contesto il rientro di alcuni nel nostro Paese. Si tratta nella maggior parte dei casi di ‘cervelli’ alla deriva, sopravvissuti per anni e anni all’estero, grazie a contratti di soli due anni, che non ne hanno favorito una vera crescita. Che disgrazia quando vengono richiamati in Italia, specie dall’università in cui si sono addottorati. In poche parole, detesto lo stile opportunista di certuni, e, al momento, proseguo nel coltivare modestia e umiltà, nell’augurio che i nostri politici nonché i vertici universitari non dimentichino il valore e la grandezza della filosofia”.

(SB): “Hai esordito menzionando, tra le altre cose, l’amore e i legami umani. Ai tempi della pandemia che stiamo sopportando, i tuoi rapporti amicali e amorosi sono stati intossicati?”.

(NV): “Tra coloro i quali consideravo amici, è emersa una distinzione fondamentale: quelli impegnati in cause sociali e condivise, tra cui molti medici (non tutti), e dei ‘barbari’ che, pur avendo seconde case in Liguria o altrove, sapendo di essere contagiati si sono egoisticamente precipitati in luoghi ove il virus non mieteva ancora vittime, come a Milano o Bergamo. Parlando di amore, è un momento di grande sofferenza: sto considerando tutti i miei errori nei confronti di Delia Vaccarello, e qui taccio, per estremo rispetto nei confronti di Delia - riservatissima, deceduta lo scorso settembre, d’improvviso nella sua amata Palermo. Credo, tuttavia, che Delia, colta e impegnata, si troverebbe ora, insieme a molti/e altri/e, al mio fianco, nell’analisi filosofica delle credenze ingiustificate dei più”.

Note

[1] La conversazione si è svolta il 7 aprile. Questa trascrizione, adattata e integrata con riflessioni scambiate per posta elettronica, è stata approvata dalla professoressa Vassallo, che ringrazio per la pazienza e la disponibilità.

[2] Si veda: https://www.youtube.com/watch?v=bK7po8vjxsk

[3] “La natura e i suoi giri di valzer. Ne parliamo con Nicla Vassallo” L’Ateo, 117, 2/2018, 6-8.