L’esempio di Newton. Scienza e tecnologia ai tempi del coronavirus.

Maria Turchetto intervista Piergiorgio Odifreddi

Maria Turchetto Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Piergiorgio Odifreddi non ha bisogno di presentazioni: i nostri lettori conoscono bene il nostro “matematico impertinente” (dal titolo del suo libro, Il matematico impertinente, Longanesi 2005 e di rubriche portate avanti su la Repubblica, L’Espresso, Le Scienze). Ha studiato all’Università di Torino, poi negli Stati Uniti e nell’Unione Sovietica; ha insegnato Logica all’Università di Torino e da anni svolge una ricca attività di divulgazione scientifica non solo nel campo della matematica.

Ha al suo attivo una produzione saggistica che definirei sterminata, di cui ricordo qui due libri che ho trovato molto utili, La matematica del Novecento. Dagli insiemi alla complessità (Einaudi 2000) e Il diavolo in cattedra. La logica matematica da Aristotele a Gödel (Einaudi 2003); alcune biografie, In principio era Darwin. La vita, il pensiero, il dibattito sull’evoluzionismo (Longanesi 2009), Hai vinto, Galileo! La vita, il pensiero, il dibattito su scienza e fede, (Mondadori 2009), Sulle spalle di un gigante. E venne un uomo chiamato Newton (Longanesi 2014); i suoi più noti scritti di critica alla religione Il Vangelo secondo la Scienza. Le religioni alla prova del nove  (Einaudi, 1999) e Perché non possiamo essere cristiani (e meno che mai cattolici) (Longanesi, 2007); per concludere questa panoramica – davvero molto ridotta – con l’ultimo libro uscito, Il genio delle donne. Breve storia della scienza al femminile (Rizzoli 2019) di cui proponiamo in queste pagine una recensione.

Maria Turchetto (MT): “Grazie della tua disponibilità, Piergiorgio. Innanzitutto, come stai? Da come ti vedo in televisione direi che sei in splendida forma. Ma come vivi la reclusione forzata? La tua vita è cambiata ai tempi del coronavirus?

Piergiorgio Odifreddi (PO): La mia vita in realtà è cambiata molto poco, io sono abituato a stare in casa dalla mattina alla sera a leggere e a scrivere. Prima, però, ero più distratto: mi toccava andare a fare conferenze, andare in giro, muovermi, prendere treni… Adesso non lo faccio più e ho molto più tempo a disposizione. Capisco che questa non è la situazione normale, io tra l’altro sono in pensione… Ma penso spesso che è la situazione di molti ragazzi, che prima avevano moltissime distrazioni – le discoteche, i bar, le palestre e così via – e che adesso sono confinati in casa. Forse possono prendere questo periodo come un periodo di meditazione e di studio in cui ci si può concentrare. Ho messo in rete un piccolo video che racconta la storia di uno dei grandi geni dell’umanità, Isaac Newton, che nel 1665, quando non aveva ancora finito l’università, l’università chiuse perché c’era la peste, una situazione esattamente analoga alla nostra. Fu proprio in quei due anni, dal 1665 al 1666, che confinato nella casa di campagna della madre, produsse i grandi risultati che sappiamo…”

(MT): “So qualcosa della ‘grande peste’ che colpì l’Inghilterra in quegli anni, ma non avevo mai realizzato un collegamento tra quell’epidemia e la vita di Newton”.

(PO): “Se abbiamo tempo, vorrei leggerti qualche riga di una lettera in cui Newton ricorda quegli anni”.

(MT): “Tutto il tempo che vuoi”.

(PO): “Poche righe, comunque. ‘Nell’estate del 1665, quando fui costretto a lasciare Cambridge a causa della peste, calcolai con il metodo delle serie infinite l’area dell’iperbole fino a 52 cifre decimali. Nel novembre trovai il metodo diretto delle flussioni. Nel maggio seguente mi addentrai nel metodo inverso delle flussioni. Tutto ciò avvenne nei due anni della peste, 1665 e 1666. In quei giorni ero nel fiore dell’età per quanto riguarda le facoltà inventive e mi occupavo di matematica e di filosofia più di quanto mai sia avvenuto da allora’.
Newton era nato nel 1642 – l’anno tra l’altro in cui morì Galileo, e lui continuava a sottolineare questo fatto come se fosse un passaggio immaginario di consegne – e quindi nel 1665 aveva 23 anni esattamente come gli studenti di oggi che stanno all’Università. E l’Università chiuse. Chiuse perché ovviamente l’epidemia stava mietendo vittime. Fu una grande epidemia, non così terribile come quella della cosiddetta ‘peste nera’ ma fu comunque un’epidemia che portò via – si pensa – 100.000 persone in Inghilterra. Colpì soprattutto le grandi città, Londra ma anche Cambridge dove Newton studiava. Gli studenti dovettero tornarsene a casa. Newton veniva da un paese di campagna, se ne tornò appunto alla casa di sua madre e fu lì che in quei due anni riuscì a diventare il più grande scienziato del mondo: in quei due anni di tranquillità, di meditazione, di calma, di tempo a disposizione per poter pensare e poter produrre riuscì a costruire il suo futuro.

Questa è una storia che potrebbe essere di monito e anche di esempio a tutti noi e soprattutto ai giovani che sono oggi nell’università, nei licei, nelle scuole superiori e che forse temono di perdere l’anno oppure di non essere più al passo con i compagni di altre nazioni. Non è così, perché la nostra vita quotidiana ci porta oggi a sprecare moltissimo tempo, sempre sui social, estremamente distratti… forse abbiamo bisogno di tempo da trascorrere in casa, tranquilli, con i nostri libri, ma soprattutto con le nostre idee. Quindi prendiamo esempio da Newton, teniamo presente questo fatto: che anche nel momento terribile della “grande peste” inglese c’era qualcuno che si era ritirato nel silenzio e nella meditazione e stava costruendo le basi del nostro sistema moderno – perché non ci sarebbe la scienza se non ci fosse stato Newton con le sue scoperte, in particolare quella del calcolo infinitesimale cui accenna in questa sua lettera di ricordi, che scrisse molto dopo”.

(MT): “È un esempio incoraggiante, lo definirei un esempio di “ottimismo della ragione”, se così posso dire rovesciando la nota espressione di Gramsci…
E quanto all’andamento dell’epidemia, sei ottimista o pessimista? Lo chiedo a un matematico e a un razionalista: qual è, secondo te, l’atteggiamento più consono, più razionale appunto, di fronte ai numeri  – dei morti, dei contagiati, dei malati in terapia intensiva, anche dei dimessi e dei guariti per fortuna – con cui ogni giorno ci viene descritta la situazione?”

(PO): “Credo che in Italia ci siano delle difficoltà anche a leggere quei numeri, perché siamo un paese che dal punto di vista scientifico è praticamente analfabeta… Basta dare un’occhiata ai video, ai messaggi, ai commenti che in questo periodo circolano sui social: sono impressionanti. Circolano le voci che questo virus è stato fatto in laboratorio, che è stato fatto dagli americani, che ce l’ha mandato Bill Gates, che arriva dai ripetitori 5G… cose che ci fanno capire che siamo ancora un paese medievale. Per tanti aspetti. Anche il papa che si fa vedere per la strada, che va in una chiesa a pregare Dio perché fermi l’epidemia… sono manifestazioni di superstizione.

Quanto ai numeri… ci comunicano il numero dei morti, il numero dei contagiati, e sono cifre terribili. Spesso però non sono solo i numeri assoluti che contano, bisogna osservare la curva, e non è solo il valore della curva che conta, ma il suo andamento, cioè quella che i matematici chiamerebbero la derivata seconda. La curva per fortuna sta cambiando, se sale in un modo dovrebbe poi scendere nell’altro modo, cioè si sta seguendo una curva fatta a esse, la cosiddetta curva logistica, e siamo nel punto in cui dovrebbe cambiare la direzione. Questo è consolante, ma ripeto: il nostro è un paese che non dà nulla alla cultura scientifica, non dà nulla alla divulgazione scientifica.

C’è anche un altro problema con i numeri – ed è che non sempre quelli che ci comunicano sono veritieri. Quanto meno, i politici e i media non hanno spiegato fin dall’inizio la tragicità della situazione. Faccio l’esempio di Angela Merkel, che ha fatto un discorso alla Germania – una cosa rarissima, tra l’altro – usando delle cifre molto conservative, ha detto che il 10% della popolazione potrebbe essere contagiata, ma quando parlava liberamente ed è stata, diciamo così, intercettata in una riunione aveva detto 60-70%. Qualche volta i numeri vengono alla fine ascoltati, come nel caso del rapporto Ferguson che ha fatto cambiare idea a Johnson in Inghilterra e a Trump in America. Un rapporto che diceva che in America ci potrebbero essere 2 milioni di morti, in Inghilterra mezzo milione. Non si può dire che “andrà tutto bene”, che in fondo è solo poco più che un’influenza e poi pretendere dalla gente comportamenti corretti…”

(MT): “Se perfino Trump alla fine ascolta i numeri, forse c’è una speranza. Voglio dire, per tornare a toni ottimistici, che forse anche in Italia, tra le superstizioni e i complottismi che giustamente ha sottolineato, si fa strada l’idea che anziché ascoltare stregoni e imbonitori convenga rivolgersi a veri esperti e uomini di scienza – medici, certamente, ma anche ricercatori. Perfino la chiesa che in passato si precipitava a organizzare contagiosissime messe e processioni si è adeguata come non mai alle misure di sicurezza. Perfino il papa sembra stia ringraziando più i medici che i soliti santi…”

(PO): “I media in questo hanno una funzione essenziale. Il mio auspicio è che continuino a dare più spazio agli scienziati e a tutti coloro che – lo si scopre al momento del bisogno – fanno le cose vere e meno spazio ai politici, ai malati di protagonismo, ai parolai. Che si ottenga un riequilibrio tra l’umanesimo, che da noi è dominante, e la scienza, che da noi è deficitaria”.

(MT): “Oggi sono proprio in vena di ottimismo, Piergiorgio, e guarda che non è nella mia indole… Ma mi viene in mente che, oltre a questo, oltre a una spinta nella direzione della alfabetizzazione scientifica di questo paese “medievale”, come dici tu, da questa grave congiuntura potrebbe venire anche una spinta alla alfabetizzazione tecnologica. Un po’ tutti – dagli studenti, ai docenti, agli uffici, alle pratiche di telelavoro o smart working, come oggi lo chiamano – siamo stati costretti a misurarci di più e un po’ più seriamente con la tecnologia. Che ne pensi?”

(PO): “Certo, potrebbe essere un’occasione per cambiare, per modernizzare il paese. Dobbiamo svecchiarci, l’avremmo già dovuto fare prima. Ci sono molti lavori – ovviamente non tutti, il lavoro a una catena di montaggio non posso farlo da casa – che abusano delle risorse. Della risorsa tempo innanzitutto: magari passi un’ora al giorno in macchina o sui mezzi pubblici per andare a un lavoro che potresti benissimo fare da casa, perché si svolge davanti a un computer. Non tutti i lavori si adattano a questa soluzione, ma quelli che possono farlo io spero seguano questa strada: oltre a un abbassamento dei costi sarebbe in molti casi un miglioramento della qualità della vita. In generale, vorrei sottolineare il fatto che in Italia scontiamo un deficit di pensiero scientifico e di tecnologia. Non siamo ancora riusciti ad approdare alla civiltà tecnologica, arranchiamo quando si tratta di usare delle macchine. Certamente è anche un problema di risorse: altri paesi – la Germania in Europa, gli Stati Uniti, la Russia, la Cina – possono permettersi di spendere, mentre noi siamo con l’acqua alla gola in termini di debito pubblico”.

(MT): “In conclusione, pensi che faremo qualche passo nella direzione di una maggiore e più diffusa competenza scientifica e tecnologica? O ritieni che il nostro paese, purtroppo storicamente vittima di una cultura non solo pre-scientifica ma in certi casi addirittura anti-scientifica, continuerà a scontare su questo terreno un dannoso ritardo?”

(PO): “Più che pensarlo, lo spero. E in effetti sembra che, tanto per fare un esempio vicino al mio campo, le scuole e le università si siano facilmente adattate alle lezioni, e persino agli esami, in video. Ma il vero problema non è tanto la competenza tecnologica: quella la si ottiene facilmente, anche se ottenendola rischiamo di diventare, come diceva McLuhan, dei selvaggi tecnologici: come quelli che si appendevano le sveglie al collo, cioè, perché non sapevano a cosa servivano. Purtroppo la tecnologia ha questo destino, di venire abusata, più che usata: basta vedere l’utilizzo che facciamo di tecnologie peraltro utilissime e meravigliose, quali le automobili, le televisioni, i cellulari, e i computer stessi.

Il vero problema è la competenza scientifica: cioè, “capire non solo che, ma perché”, come diceva Aristotele, lamentandosi già allora dei suoi studenti, che ovviamente facevano il contrario: cioè, studiavano il “che” (in questo caso, impratichirsi a usare la tecnologia), ma si disinteressavano del “perché” (in questo caso, capire la scienza che le sta dietro). In realtà, la scienza andrebbe studiata non tanto, o non solo, perché è il fondamento della tecnologia che costituisce il paradigma della contemporaneità, ma perché è il fondamento della visione razionale del mondo: quella libera da superstizioni e stupidità, che invece abbiamo visto così bene in azione anche durante questa crisi provocata dal virus”.

Note

[1] L’intervista si è svolta attraverso WhatsApp il 21 aprile 2020. Il presente adattamento è stato approvato da Piergiorgio Odifreddi, che ringrazio per la disponibilità.