Corano versus Coronavirus. Pandemia e mondo musulmano
Stefano Bigliardi Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Vivo e lavoro in Marocco. Come tutti gli italiani all’estero ho assistito con inquietudine alla diffusione della pandemia, tenendo simultaneamente d’occhio l’Italia e il mio Paese ospitante. Quest’ultimo ha fortunatamente reagito con vigore e rigore, ordinando il lockdown dal 20 marzo, senza troppi indugi rispetto all’afflusso di dati su contagi e vittime [1]. In altre parole, non ho vissuto il tormentoso “sfasamento” tra le notizie italiane e la mancanza di consapevolezza e azione da parte di altri Paesi, che per tanti connazionali espatriati ha rappresentato un supplemento di angoscia in un momento globalmente drammatico. Ovviamente, però, mi resta l’apprensione per i cari lontani e per il fatto che il Marocco, se si è distinto per le rapide misure contenitive e preventive, presenta pur sempre punti deboli a livello sanitario e sociale.
Oltre alla preoccupazione, ho tuttavia avvertito, e fin da subito, una viva curiosità, in qualità di studioso che da oltre un decennio si occupa di Islam, e in particolare di come i musulmani pensano il rapporto tra fede e scienza. Narrazioni e pratiche religiose consentono ai fedeli di conferire senso e struttura agli avvenimenti ordinari e straordinari della vita. L’Islam non fa eccezione, e la pandemia è senza dubbio un avvenimento inatteso e angosciante rispetto a cui ciascuno cerca di trovare un significato o una linea di azione: in questo caso, per di più, dovendo tenere conto di nozioni mediche e scientifiche. Mi attendevo quindi una fioritura di interpretazioni del coronavirus, e di prescrizioni pratiche al riguardo, in chiave islamica, e sapevo che il Marocco mi avrebbe fornito un “osservatorio” privilegiato.
Immaginavo inoltre che le letture musulmane del Covid-19 sarebbero state caratterizzate da grande diversità ma anche da specificità, intesa, quest’ultima, come mescolanza esplicita e diretta di concetti religiosi e di concetti scientifici (o comunque presentati come tali).
Il motivo della diversità è presto spiegato: pur avendo come punto di riferimento comune il Corano, ossia la raccolta di rivelazioni trasmesse dal Profeta Muhammad (570-632 d.C.), considerate di origine divina, e trascritte dopo la sua morte, i musulmani, che sono quasi un quarto della popolazione mondiale, vivono nei Paesi più distanti e disparati, e non fanno capo a una sola autorità teologico-istituzionale paragonabile al Papa cattolico. Non è insolito che comunità e correnti musulmane che coincidono con gruppi linguisticamente ed etnicamente diversi, o che si agganciano a differenti istituzioni, o che hanno comunque seguito percorsi di sviluppo culturale divergenti, siano in contrapposizione e concorrenza, sia internazionalmente, sia all’interno dello stesso Paese. Questo, inevitabilmente, si sarebbe tradotto in una varietà di reazioni, anche discordanti, rispetto allo stesso drammatico fenomeno.
Il motivo per cui mi aspettavo che tanto teologi quanto credenti ordinari si sarebbero alquanto “sbilanciati” nell’affrontare religiosamente la pandemia, creando collegamenti concettuali piuttosto diretti tra le proprie credenze, il fenomeno pandemico, e le misure al riguardo, è l’esistenza della convinzione molto diffusa secondo cui l’Islam godrebbe di un rapporto privilegiato con la scienza. Tale convinzione si basa, principalmente, su due idee correlate. In primo luogo, il Corano presenta numerose esortazioni a osservare e apprezzare il mondo naturale, visto come armonico insieme dei segni dell’esistenza di Dio, per cui si pensa comunemente che le scienze naturali non sarebbero che un’ovvia “estensione” della fede islamica. In secondo luogo, il testo sacro conterrebbe la menzione di fenomeni naturali descritti in modo eccezionalmente preciso con molti secoli di anticipo rispetto al loro studio scientifico, il che è da molti considerato una prova decisiva dell’origine divina del Corano stesso [2].
Il mio primo incontro con un’interpretazione musulmana del contagio è avvenuto uno degli ultimi giorni prima del lockdown. Mi trovavo in un taxi a Meknès, quando un notiziario radio ha riferito della già spaventosa situazione italiana. Il tassista, a cui mi sono guardato bene dal rivelare la mia nazionalità, mi ha spiegato con convinzione che il Covid-19 era una punizione divina per i cinesi, a causa del trattamento da loro riservato ai musulmani uiguri. Quanto agli iraniani, Dio li castigava perché sciiti, corrente minoritaria dell’Islam contrapposta ai sunniti, tra i quali si annovera la stragrande maggioranza dei musulmani del Marocco incluso evidentemente il mio interlocutore (vale la pena osservare che parlo degli sciiti come minoranza, ma solo in proporzione rispetto al resto dei musulmani del pianeta: si tratta però di almeno 150 milioni di persone). Quanto a italiani, francesi e spagnoli il tassista si è mostrato più vago e incerto, forse perché aveva intuito per lo meno la mia provenienza europea, se non proprio la nazionalità, e in ogni caso ha aggiunto che il virus in Marocco non c’era, che “Dio è il più grande” (“Allahu akbar”) e che avrebbe protetto “i musulmani”.
Insegno Pensiero Filosofico e Storia delle Idee in un’università pubblica, l’AUI (Al Akhawayn University in Ifrane) [3], fondata nel 1995, che, oltre alla lingua inglese, adotta un modello “americano” tanto per l’insegnamento quanto per la vita accademica. Quest’ultima si svolge in un campus dove, oltre alle aule e agli uffici, si trovano gli alloggi per gli studenti e quelli per gli insegnanti, ristoranti, strutture per attività sportive e ricreative, e un piccolo centro medico.
Gli studenti, che seguono i miei corsi come parte del curriculum di studi finalizzata ad arricchire la loro cultura generale, rappresentano un ampio spettro di appartenenze sociali. Ci sono i rich kids of Morocco, rampolli di famiglie privilegiate, che spesso preferiscono il francese all’arabo e sanno che dopo l’università troveranno un impiego grazie a potenti reti di contatti famigliari e amicali, se non proprio nell’azienda del papà, ma ci sono anche tanti studenti di classe media e persino bassa, che hanno accesso agli studi universitari grazie a un buon sistema di borse di studio e che sperano di prendere l’“ascensore sociale” attraverso gli studi e l’impiego che ne deriverà, magari all’estero. Gli studenti dell’AUI mostrano una certa diversità anche rispetto alla religione. Si va dagli atei dichiarati (almeno privatamente, al sottoscritto, considerando leggi e tabù sociali al riguardo) [4] ai “rigoristi” che evitano di stringere la mano ai rappresentanti dell’altro sesso, passando per chi si dichiara sì credente ma che al tempo stesso mantiene flessibilità e apertura mentale rispetto a molti temi, anche delicati, come la sessualità e il rapporto tra religione e politica, e che magari, al fine settimana, non disdegna nemmeno un paio di drink alcolici.
Il lockdown è stato proclamato in corrispondenza della fine di una settimana di vacanza, lo Spring Break, quindi per la maggior parte degli studenti si è trattato di rimanere dov’erano, cioè a casa con la famiglia. Solo a pochissimi è stato consentito, per ragioni speciali, di rimanere o ritornare al campus. Diversi insegnanti sono rimasti bloccati fuori dal Paese (da cui peraltro non si può uscire salvo misure straordinarie per gli stranieri, concertate con i Paesi di origine). Molti dei nostri studenti di scambio, che provengono dagli Stati Uniti, vi hanno fatto ritorno. La componente comunitaria della vita accademica, insomma, si è trovata di colpo ad essere polverizzata e il campus è piombato nella quasi totale immobilità e nel silenzio. Io stesso sono confinato nell’appartamento privato fuori dal campus, dove risiedo ordinariamente insieme alla mia cagnolina. Nelle stesse ore, a tutte le istituzioni educative del Marocco è stato prescritto di passare alle lezioni online.
Uno dei miei corsi per il semestre primaverile 2020 verte su Islam e scienza contemporanea [5], un altro sull’ateismo [6] (scrivo al presente anche se entrambi volgono al termine nel momento in cui scrivo). Imponendosi una svolta nella didattica, sia rispetto al metodo sia rispetto al contenuto, ho pensato di creare un forte collegamento tra la situazione presente e le teorie studiate in classe. Al posto degli esami scritti pianificati per il resto del semestre ho richiesto agli studenti di produrre dei brevi video in cui avrebbero esposto e valutato criticamente le reazioni alla pandemia nel mondo musulmano, ricostruite sulla base di articoli di giornale e altre fonti [7]. In questo modo, oltre appunto ad adattare i corsi alle circostanze, avrei rafforzato il messaggio, per me essenziale, per cui le materie filosofiche non sono uno studio astratto e astruso, ma forniscono strumenti validi per filtrare la realtà con competenza e senso critico. Infine, grazie a quelle attività didattiche, avrei potuto costruirmi una mappa delle interpretazioni islamiche del virus e farmi un’idea di come tali interpretazioni sono recepite e percepite da un gruppo variegato di giovani aventi in comune un retroterra culturale musulmano, se non proprio la fede e la pratica religiosa.
È quindi sulla base del “lavoro emergenziale” mio e dei miei studenti che sono in grado di offrire ai lettori de L’Atea una “carrellata” abbastanza significativa sulle reazioni alla pandemia nel mondo musulmano, tanto teoriche quanto pratiche, anche se quella che propongo è una rassegna senza pretese di esaustività rispetto al vasto, stratificato e complesso mondo musulmano.
Attraverso le ricerche dei miei studenti ho potuto capire, per esempio, che idee come quelle espresse dal tassista di Meknès erano del tutto simili alle posizioni di autorità teologiche o comunque di opinion maker di spicco, e anzi forse ne derivavano, essendo in tal caso passate di bocca in bocca (o di sito in sito) in un “telefono senza fili” dagli esiti anche paradossali. Ad esempio, la tesi del virus come punizione divina per i cinesi si legge, fin da febbraio, nell’articolo del direttore di un centro musulmano di Mumbai che si occupa di educazione e beneficenza [8], la si ritrova espressa da un teologo sciita in Iraq alla fine dello stesso mese (il teologo è peraltro risultato positivo al virus qualche tempo dopo [9]) e infine, come abbiamo letto, l’ho sentita a marzo inoltrato da un musulmano marocchino che includeva nel presunto “castigo dall’alto” anche gli sciiti. Non ho elencato che tre presunte “tappe” di questa teoria: chissà però quali precedenti avevano (forse persino tra gli stessi uiguri?), e attraverso che miriade di passaggi intermedi si sono diffuse, posto che non si sia trattato di “intuizioni simultanee” in diverse parti del globo. Tutto lavoro per gli storici delle idee!
È importante sottolineare che praticamente tutti i miei studenti hanno respinto l’interpretazione della pandemia come castigo divino, in modo più o meno derisorio, così come hanno aspramente criticato un predicatore religioso marocchino per avere accusato lo Stato di apostasia a causa della chiusura delle moschee (trattasi di tale Abou Naïm, peraltro prontamente sottoposto ad arresto, pena pecuniaria e detenzione di un anno) [10]. Oggetto di critiche da parte dei miei studenti sono state anche le persone che, sempre in Marocco, dando seguito a tesi come quelle del predicatore, ma forse soprattutto sfogando in chiave religiosa ansia e insofferenza rispetto alle misure di sicurezza, hanno sfidato il lockdown con marce per le strade di diverse città al grido di “Allahu akbar” pretendendo di tornare alla normalità [11]. Un’altra posizione che è stata citata per criticarla è quella del Pakistan, in cui si è registrata la decisione istituzionale di tenere aperte le moschee, anche se a diverse condizioni, come mantenere una distanza di sicurezza tra chi prega, tutte regole però difficili da far rispettare nei numerosissimi centri di culto pakistani [12].
Critiche anche più pungenti sono state mosse all’idea per cui varrebbero a difendersi dal contagio la semplice acqua usata per le abluzioni che precedono la preghiera, o il niqab (indumento femminile che lascia scoperti solo gli occhi) [13], o altre “cure alternative” legate all’Islam, come un presunto “Profumo del Profeta” impiegato da un religioso iraniano (sempre in Iran, peraltro, si sarebbero registrati numerosi casi di intossicazione, anche letale, da alcool etilico, consumato in base a una diceria secondo cui avrebbe avuto effetto immunizzante) [14]. Un altro fatto deplorato dagli studenti è che le persone religiose, in circostanze come quelle attuali, possono essere indotte a identificare, oltre che false cause e falsi rimedi, dei capri espiatori, come nel caso dei musulmani accusati, in varie parti dell’India, di diffondere il virus [15].
Gli studenti più critici rispetto alla religione hanno fatto riferimento a episodi e posizioni di quel tipo per argomentare come la fede induca a comportamenti irrazionali, anti-scientifici, dannosi e persino violenti. Gli studenti religiosi, invece, hanno tenuto a sottolineare che altre reazioni e interpretazioni della pandemia in chiave islamica sono possibili e anzi consigliabili, in quanto razionali e in linea con un comportamento scientificamente corretto e socialmente responsabile. In quest’ultima posizione si rifletteva peraltro la reazione, a livello governativo, del Marocco, monarchia costituzionale in cui il re è anche “comandante dei credenti”. Autorità e attori istituzionali che hanno gestito la crisi hanno ben saputo mescolare prescrizioni pratiche, in linea con la scienza e le politiche prese in quasi tutto il mondo, e temi islamici. Più in particolare, mentre i diversi Ministeri prendevano le misure che ho menzionato, il Consiglio Superiore degli Ulema (ossia degli esperti di legge islamica, istituzione statale menzionata nella Costituzione del 2011), su impulso del sovrano Mohammed VI, ha tempestivamente raccomandato la chiusura delle moschee e la pratica della preghiera tra le sole mura domestiche, sottolineando come tali decisioni e comportamenti fossero in linea con valori e ideali islamici [16]. Simili prescrizioni, peraltro, venivano fornite negli stessi giorni e nelle stesse ore da altre autorità in tutto il mondo musulmano. Mi sembra importante rilevare che misure pragmatiche e proficue sono state prese anche dall’Arabia Saudita, che tra le altre cose ha sospeso i pellegrinaggi alla Mecca [17], ed è per lo meno curioso annotare che, secondo alcune fonti, persino l’ISIS, il sedicente “Stato Islamico dell’Iraq e della Siria”, avrebbe diffuso tra i suoi militanti, altrimenti noti per il fanatismo sadico e suicida, istruzioni scientificamente solide su come tutelarsi dal rischio di contagio; tali istruzioni, peraltro, erano presentate in un contesto teologico e amalgamate alla ormai nota interpretazione della pandemia quale punizione per i cinesi [18].
La posizione religiosa “proattiva” e “scientifico-razionale” rispetto al contagio, che si riscontra in particolare, ma non solo, in Marocco, e di cui mi hanno fornito un saggio molti elaborati dei miei studenti, si basa su diversi temi, variamente declinati e intrecciati. Osserviamoli in breve. La pandemia sarebbe sì un segno della potenza di Dio, come del resto qualunque fenomeno naturale, ma anche un’occasione di mettere in pratica principi etici incorporati nella religione, come la pazienza, la solidarietà e la cura di sé. Le specifiche indicazioni pratiche, utili in questo frangente drammatico, devono sì provenire dalla scienza, ma questa si armonizzerebbe perfettamente con la religione, per le ragioni a cui ho accennato in precedenza. Tale armonia sarebbe ulteriormente supportata e dimostrata da versi coranici, o da insegnamenti tradizionalmente attribuiti al Profeta, in cui si troverebbero o veri e propri consigli sanitari, o comunque importanti suggerimenti rispetto alla flessibilità, e quindi alla praticità, della teologia musulmana di fronte ai problemi concreti della vita.
Chiarisco questi ultimi due punti. Diversi studenti, come risultato delle loro letture e riflessioni, hanno convintamente e positivamente riportato delle tradizioni aventi come protagonista il Profeta. Secondo tali narrazioni Muhammad avrebbe prescritto di non recarsi in contrade colpite da una pestilenza, o di non uscirne, così come avrebbe consigliato di non mescolare persone appestate e persone sane, e avrebbe accettato il giuramento di fedeltà di un lebbroso senza che costui lo toccasse, contrariamente all’usanza; il Profeta avrebbe anche esortato ad affrontare le malattie con la medicina, quindi non soltanto con la preghiera, poiché a Dio si deve sì la creazione della malattia, ma anche della cura [19]. Secondo un altro racconto ancora il Profeta avrebbe raccomandato a un fedele di legare bene il suo cammello, prima ancora di confidare in Dio perché l’animale non scappasse; il messaggio che se ne ricava è che, secondo l’Islam, Dio aiuta chi si aiuta, non chi sta con le mani in mano, il che ben sembrerebbe adattarsi alla situazione attuale [20].
Attenzione però: anche degli ultraconservatori marocchini dalle posizioni simili a quelle del predicatore Abou Naïm, che ho citato in precedenza, hanno argomentato le proprie idee su basi analoghe, sostenendo che, pur essendo le pestilenze un fenomeno comune all’epoca del Profeta, egli non avrebbe mai fatto chiudere le moschee, in cui anzi, storicamente, i fedeli si sarebbero riparati dal morbo ... [21] Insomma: contro la tradizione, la tradizione.
Stimolati da una mia esplicita domanda, diversi studenti religiosi si sono spinti a dichiarare che l’Islam è la religione meglio equipaggiata per affrontare la crisi attuale, a livello sia psicologico-spirituale sia pratico, proprio in virtù dei motivi appena citati. Non molti, però, sono arrivati a sostenere la tesi di una coincidenza totale e diretta, tra le normali misure igieniche e alimentari tipiche dell’Islam (abluzioni, divieto di consumare carne suina e insetti) e quelle adatte a prevenire, nella fattispecie, il Covid-19, e solo uno ha ingenuamente sostenuto che le prescrizioni del Profeta relative alle pestilenze avessero del miracoloso in quanto, a suo modo di vedere, incredibilmente in anticipo sui tempi (fenomeni di quel tipo sono ovviamente noti da tempo immemorabile, e i consigli attribuiti al Profeta riguardo ai contagi, oltre che dettati dal buon senso, sono decisamente generici).
Chi è scettico rispetto all’Islam e alla sua armonia con la scienza, in questo caso, come in altri, obietta che la “scientificità” del Corano e della tradizione musulmana è ottenuta attraverso interpretazioni selettive e forzate dei testi, confondendo tra igiene e purità rituale (con buona pace di chi ripete la tradizione secondo cui il Profeta avrebbe affermato che “la pulizia è metà della fede”), il tutto con un sistematico ricorso al “senno di poi”. In una vignetta in arabo circolata negli ultimi giorni si vede uno scienziato in camice armeggiare con microscopio e provette e, dietro di lui, serafico, un conservatore barbuto, in turbante e abito tradizionale, che stringe in mano il testo sacro. “È da un bel po’ che te ne stai lì, che cosa vuoi?” chiede lo scienziato; e l’altro: “aspetto che inventi una cura per il coronavirus, così posso cercare il verso coranico che già ne parlava”. In effetti, però, l’armonia di Islam e scienza, e l’utilità del primo rispetto alla pandemia, come dimostrano i lavori dei miei studenti religiosi, vengono concettualizzate con numerose sfumature, e non sempre in modo tanto forzato quanto suggerirebbe quella vignetta.
In questa “carrellata” occorre includere la menzione, per quanto breve, di tutto un “pulviscolo” (se non, anzi, un “polverone”), di vere e proprie leggende urbane legate a Islam e Covid-19, che si diffondono attraverso i social media. Tali leggende sono accomunate da una lettura fuorviata e fuorviante di video o immagini descritti come facenti riferimento ad avvenimenti straordinari dettati dalla pandemia, ma che poi, a investigare un po’, risultano essere legati a ben altre situazioni, anche se spesso inconsuete. Tanto per citarne alcune: il presidente cinese Xi Jinping si sarebbe recato in una moschea chiedendo di pregare per la Cina (il video in questione riprende però una sua visita a una moschea nel 2016). Dei cinesi si sarebbero convertiti all’Islam convinti che l’appartenenza all’Islam risparmiasse dal virus (le immagini in realtà sono quelle di convertiti di lingua tagalog in Arabia Saudita nel 2019). Sempre i cinesi avrebbero ricevuto in massa copie del Corano in seguito alla rimozione di un bando sul libro sacro (il video mostra invece una distribuzione di Bibbie nel 2013). Il Corano sarebbe stato recitato prima di una seduta del Senato statunitense a cui avrebbe partecipato anche il presidente Trump (ma si tratta di una cerimonia interreligiosa del 2017 in una chiesa di Washington D.C. il giorno dopo l’inaugurazione presidenziale). E così via ... [22]. Oltre alla sovrainterpretazione, o interpretazione errata, di episodi realmente accaduti, simili narrazioni hanno in comune il fine implicito di “nobilitare” e “confermare” l’Islam, mostrando come sia stato accettato e accolto, quale miglior risposta religiosa alla crisi mondiale, da personaggi prestigiosi, o comunque originariamente non appartenenti all’Islam stesso, se non persino avversi alla religione musulmana.
Tornando al Marocco, tengo infine a sottolineare che la reazione complessiva del Paese, tanto popolare quanto istituzionale, ha mostrato di avere la solidarietà come componente rilevante [23]. In particolare, la mia università, che è annessa a un villaggio tra i monti dell’Atlante, ha iniziato, tra dipendenti e studenti, un’imponente raccolta fondi (1,5 milioni di dirham, cioè 138.850 euro) che sono poi stati distribuiti, di concerto con le autorità, alle fasce più povere della popolazione locale [24]. Ci sarà tempo e modo di capire a fondo i contorni e l’impatto di questa e di simili iniziative in tutto il Marocco. In ogni caso, che si voglia accreditare questo tipo di reazione all’Islam o ad altri fattori culturali, mi sembra importante concludere questa rassegna di fatti e di riflessioni evidenziando la presenza e l’importanza della solidarietà nel Paese musulmano che mi ospita.
Note
[1] Vedere https://tinyurl.com/y7px4jdp Per farsi un’idea delle misure e della situazione, anche la pagina Wikipedia sul contagio in Marocco è un buon punto di partenza https://tinyurl.com/ycjv6yf9 Nel momento in cui scrivo le misure sono state estese al 20 maggio 2020.
[2] Mi sono occupato in dettaglio di queste idee nel piccolo libro divulgativo La mezzaluna e la luna dimezzata (Padova, CICAP, 2018) a cui mi permetto di rimandare .
[3] Vedere http://www.aui.ma/en/
[4] Vedere “L’ateismo nei Paesi islamici. Conversazione con l’ateo marocchino Kacem El Ghazzali” L’Ateo, 110, 1/2017, 23-25 e “Un picnic contro il digiuno religioso di Stato. Intervista con Ibtissame Betty Lachgar” L’Ateo 119, 4/2018, 13-15.
[5] Il programma è disponibile qui:
https://tinyurl.com/so9as83
[6] Il programma è disponibile qui:
https://tinyurl.com/uw5tw7n
[7] Le istruzioni sono disponibili qui:
https://tinyurl.com/tytxhuk e qui:
https://tinyurl.com/squ6aus
[8] https://tinyurl.com/ycajwkn9
[9] https://tinyurl.com/vezcjfh Il teologo aveva comunque asserito che tutta la popolazione mondiale fosse minacciata, e fosse quindi tenuta a prendere misure adeguate e a collaborare.
[10] https://tinyurl.com/ycwyptk6
[11] https://tinyurl.com/y8kpn6sf
[12] https://tinyurl.com/ybdnmf72
[13] https://tinyurl.com/yc682vs6
[14] https://tinyurl.com/y9dhmz59
[15] https://tinyurl.com/y7z8yzre
[16] https://tinyurl.com/ybxgv3yv
[17] Vedere la pagina Wikipedia al riguardo https://tinyurl.com/yamsjdo9
[18] https://tinyurl.com/y8mummyk
[19] https://tinyurl.com/yab3spwg
[20] https://tinyurl.com/y7gehjqq
[21] https://tinyurl.com/yb2aq2wa
[22] https://tinyurl.com/ybwhbkmc
[23] https://tinyurl.com/ybke2sa8
[24] http://www.aui.ma/covid19/