Editoriale - L'ATEA numero 1
Maria Turchetto Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Cari amici,
come si dice (e fate pure tutti gli scongiuri del caso): chi non muore si rivede! O per lo meno si risente.
Noi della vecchia redazione de L’ATEO ci siamo, appunto, rivisti e risentiti.
Ci siamo riuniti. Virtualmente, beninteso. Se lo avessimo fatto fisicamente ci saremmo scambiati così tanti baci e abbracci che ci avrebbero arrestati per violazione delle norme sanitarie, attentato alla salute pubblica, procurata epidemia, tentata strage e chissà cos’altro.
Perché siamo rimasti molto amici: accomunati da un lungo lavoro svolto insieme, dalla stima reciproca, da tante idee condivise, da un comune sentire.
Ed ecco cosa abbiamo sentito in comune: la necessità di pensare. Di pensare a quanto sta accadendo, a questa maledetta epidemia, alle sue cause e alle sue conseguenze.
Perché l’informazione non basta – ne abbiamo ricevuta fin troppa negli ultimi tempi, buona e cattiva. Occorrono anche gli strumenti critici per capirla in modo adeguato, vagliarla, approfondirla, elaborarla. Ateismo e razionalismo rappresentano, in questo senso, uno stile di pensiero prezioso.
Così ci siamo riuniti e abbiamo chiamato a raccolta vecchi e nuovi amici perché ci aiutassero a pensare.
Vecchie conoscenze che hanno spesso collaborato con noi e nuovi interlocutori. Poi abbiamo provato a dare il nostro contributo in prima persona, sulla base delle nostre competenze e delle nostre letture.
Il risultato è questo che vedete. Ottimo ed abbondante, lo definirei: mai viste tante pagine! Non scontando i limiti della carta, abbiamo inserito tutto.
Molti dei contributi che leggerete qui hanno la forma dell’intervista: perché i nostri vecchi e nuovi amici erano molto occupati, presi da mille impegni tra mille difficoltà, e noi ci tenevamo ad essere ragionevolmente tempestivi in questa malaugurata emergenza. Ringraziamo tutti di cuore per la loro generosità e disponibilità. Ci hanno davvero dato una mano a pensare.
Abbiamo cambiato sesso. Per il resto, riproponiamo, con le dovute differenze, la vecchia formula de L’ATEO: nell’impaginazione; nel proporre qualche vignetta “per rinfrancar lo spirito”, come dice la Settimana Enigmistica (ringraziamo i disegnatori che hanno collaborato e in primo luogo Maurizio Di Bona che si è subito unito al gruppo fornendoci la copertina); nell’alternare riflessioni e approfondimenti “seri” a interventi più ironici e irriverenti; nel proporre molte recensioni, bibliografie, filmografie.
Lo abbiamo fatto un po’ per scherzo, un po’ per nostalgia: “un po’ per celia e un po’ per non morire”, direbbe Madama Butterfly. Ci riconoscerete di sicuro.
Una cosa manca, una caratteristica secondo me davvero un po’ speciale di quella vecchia e “deprecata” [1] rivista che era L’ATEO: il rapporto con i lettori. Una preziosa interattività che non era fatta solo di “mi piace” o di faccine, ma di lettere, interventi, segnalazioni, scambi con gli autori. Una “palestra dei lettori” [2] che animava la discussione. E la discussione – scambiare idee, sollevare obiezioni, precisare – è indispensabile per pensare.
“O si pensa o si crede”, diceva Schopenhauer – e chissà quante volte abbiamo citato questa frase. Che va anch’essa approfondita e precisata: perché “credere” non significa solo prestare fede a stupidaggini – come le madonne di Lourdes, di Fatima, di Medjugorje (e quante ce n’è?) di cui ci parla Francesco D’Alpa. Non significa soltanto abboccare alle bufale rispetto alle quali ci mette in guardia Massimo Polidoro. Né solo dar credito alle superstizioni, come avviene in un paese come il nostro che, secondo Piergiorgio Odifreddi, è ancora in larga misura “medievale”.
Significa anche essere superficiali o conformisti, accettare pigramente “pacchetti” di idee che provengono da una parte politica o da un’ideologia che ci piacciono senza fare quello sforzo che davvero distingue gli atei e i razionalisti che si chiama esercitare il pensiero critico.
Per tutti coloro a cui piace farlo – e farlo, datemi retta, una volta superato lo sforzo è un vero piacere – noi siamo ancora qui. Non ufficialmente, non istituzionalmente, “un po’ per celia e un po’ per non morire”, come ho già detto. Ma ci siamo.
Buona lettura.
Note
[1] Uso il termine nel nuovo senso che ha assunto in campo informatico, in cui viene usato come sinonimo di “obsoleto” e perciò abbandonato.
[2] Non ci crederete – del resto siete non credenti – ma La palestra dei lettori era il titolo di una rubrica del Corriere dei Piccoli, detto anche Corrierino, la prima rivista settimanale italiana di fumetti, pubblicata dal 1908 al 1996.