Breve storia del pensiero reificato

Enrica Rota   Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Il pensiero è una facoltà – nella nostra specie particolarmente affinata – che si è sviluppata nel corso dell’evoluzione e che ci permette di interpretare la realtà in maniera razionale. In passato però, e per secoli e secoli, il pensiero è stato considerato ben di più di una semplice facoltà mentale umana: partiamo allora dagli inizi, cioè dall’epoca degli antichi greci.

Gli antichi greci erano gente fondamentalmente ottimista e vedevano ordine e razionalità un po’ dappertutto. Avevano così elaborato il concetto di lògos ovvero pensiero/parola ma anche principio di razionalità universale – una proiezione del pensiero umano all’interno della realtà che lo trasforma da semplice facoltà mentale a struttura del reale. Gli antichi greci si aspettavano che la realtà si comportasse secondo le leggi del pensiero e vedevano nel reale la razionalità che ci avevano messo dentro loro stessi – un chiaro esempio di reificazione del pensiero nonché di confusione fra pensiero e realtà.

Questa confusione raggiunse il suo culmine con la filosofia di Parmenide, la cui dottrina viene spesso riassunta nella formuletta “l’essere è, il non-essere non è”. Parmenide reificò un concetto astratto del pensiero (quello, genericissimo, di essere) attribuendo soltanto ad esso l’esistenza (“l’essere è” cioè esiste) e, da grande snob qual era, relegando tutto il resto nel mondo dell’apparenza. L’essere parmenideo è una sorta di entità razionale che viene descritta come unica, ingenerata, immortale, sferica, intera, immobile, compatta, omogenea, eterna … e, nonostante i nostri sensi ci dicano altrimenti, secondo Parmenide è l’unica dotata di esistenza. Il sapiente per conoscerla si affiderà alla ragione (e non certo alle sensazioni che per il Nostro non sono mai degne di fede) “poiché lo stesso è pensare ed essere”.

E passiamo adesso a Platone, altro grande snob dell’antichità. Come Parmenide, anch’egli trasformò il pensiero in realtà, ma invece che sul genericissimo concetto di essere si concentrò su vari concetti astratti un po’ meno generici, le famose idee (quella del bene, del giusto, del bello, ecc.) che hanno le stesse caratteristiche dell’essere parmenideo a parte l’unicità, perché sono molteplici. Per Platone le idee sono gli archetipi delle cose e anche qui il mondo sensibile viene svalutato a fronte di una realtà superiore che è il mondo iperuranio delle ideeidee che in origine non erano altro che concetti astratti del pensiero umano.

Il discepolo di Platone, Aristotele, di concetti astratti se ne intendeva ed infatti aveva fondato la logica, comunque anch’egli incorse nell’errore di confondere il pensiero con la realtà postulando un essere soprannaturale che definì, tra le altre cose, come “pensiero di pensiero”: ed eccoci di nuovo di fronte alla reificazione del pensiero, al salto ontologico (se così vogliamo chiamarlo) dal pensare all’essere, dal pensiero alla realtà, che è così tipico della cultura greca antica.

Non che i medievali fossero da meno, anzi! Tutto il loro pensiero si basava sul presupposto dell’esistenza di un concetto astratto: quello di Dio. Per secoli i migliori cervelli si erano cimentati (e avevano perso il loro tempo) nell’ardua (anzi impossibile) impresa di dimostrare l’esistenza di Dio e avevano ideato varie prove, nessuna delle quali sta in piedi: quella che andava per la maggiore era la prova ontologica basata – indovinate un po’ – sulla solita acrobazia mentale fra pensiero e realtà. Anselmo d’Aosta, l’ideatore della prova, affermava infatti che Dio è l’essere di cui non si può pensare nulla di maggiore, dunque deve anche esistere, se no non sarebbe più l’essere di cui non si può pensare nulla di maggiore perché sarebbe privo dell’esistenza. Qui il salto ontologico dal pensare all’esistere è più che evidente.

Secoli dopo sarà Descartes a riprendere la prova ontologica, a sostegno del suo “Cogito”. Anch’egli reificò il pensiero ed infatti lo definì res cogitans, una realtà spirituale che fa da contraltare a quella materiale (res extensa). Se poi esaminiamo da vicino la sua formuletta “Cogito ergo sum” notiamo il solito passaggio dal pensiero (cogito) all’esistenza (sum) che accomuna tutti i pensatori di cui sopra (e molti altri).

Tutte le filosofie che si basano sulla coincidenza parmenidea di pensare ed essere, pensiero e realtà sono sistemi rigidi e fissati una volta per tutte, incapaci di valorizzare la conoscenza empirica in quanto fondati sulla convinzione che il pensiero astratto sia sufficiente per comprendere la realtà: la conoscenza empirica viene di conseguenza o totalmente svalutata (vedi ad esempio Parmenide) oppure interpretata secondo schemi preconcetti del pensiero (vedi ad esempio il finalismo in Aristotele) e non sulla base dell’osservazione disincantata dei fenomeni. Tutto questo è stato naturalmente deleterio per la conoscenza umana: pensiamo solamente a quanti ostacoli pose allo sviluppo del libero pensiero l’aristotelismo medievale, che ancora ai tempi di Galileo andava per la maggiore. Ma torniamo alla nostra carrellata storica.

Con l’illuminismo arrivarono tempi migliori. Immanuel Kant confutò la prova ontologica e le altre due principali prove dell’esistenza di Dio e definì tautologico il cogito ergo sum di Descartes in quanto la premessa (cogito = sum cogitans) implica già di per sé l’esistenza. Kant considerò il pensiero (nella fattispecie, la ragione) come una semplice facoltà conoscitiva umana e scisse il malsano legame fra pensiero ed essere ponendo dei limiti al pensiero stesso: la “cosa in sé” (o “ciò che è”, si potrebbe dire in termini parmenidei) non è conoscibile, sono conoscibili soltanto i fenomeni (o “ciò che appare”, si potrebbe dire sempre in termini parmenidei). Affinché le nostre conoscenze possano procedere non si può secondo Kant prescindere dall’esperienza. Il pensiero “puro” cioè svincolato dall’esperienza (cfr. l’essere di Parmenide, le idee di Platone, ecc.) non è altro che aria fritta. Con Kant il pensiero aveva dunque intrapreso il percorso corretto per promuovere la conoscenza e la scienza. Peccato che egli non fu pienamente compreso, oppure fu semplicemente “bypassato” dai suoi contemporanei. L’idealismo era alle porte …