Il cervello del Paleolitico, ovvero: come giustificare moderne pulsioni e antichi pregiudizi

Marirosa Di Stefano Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Negli anni ‘90 del secolo scorso dal grande tronco della psicologia è emersa una nuova branca definita evolutiva perché la sua base teorica riconosce nei meccanismi descritti da Darwin l’origine di gran parte dei tratti psicologici umani.

L’assunto di partenza è che la selezione naturale regola ogni aspetto dell’evoluzione attraverso adattamenti finalizzati che hanno modellato le caratteristiche fisiche e psichiche del genere Homo per garantire il successo riproduttivo della specie. Gli psicologi evolutivi ritengono che l’adattamento sia l’unico motore dell’evoluzione e sulla base di questa convinzione descrivono la mente umana come un insieme complesso in cui si integrano “adattamenti psicologici funzionalmente specializzati che si sono strutturati come soluzione ai diversi problemi adattativi incontrati durante l’evoluzione”. In altre parole l’idea è che nel cervello umano si siano andati formando – nel corso del suo sviluppo evolutivo – circuiti neurali specializzati che rispondono a specifici stimoli ambientali mettendo in atto il comportamento adeguato per adattarsi, cioè un comportamento che favorisce la sopravvivenza e le probabilità di riproduzione dell’individuo.

L’esempio paradigmatico delle interpretazioni offerte dalla psicologia evolutiva riguarda la reazione di paura/disgusto/fuga che molte persone manifestano alla vista di serpenti e ragni. Questi animali hanno rappresentato una minaccia per gli uomini del Pleistocene e la reazione che provocano anche nell’uomo moderno rifletterebbe l’adattamento evolutivo a guardarsi da potenziali pericoli; si tratterebbe di un meccanismo di allarme ingranato nel nostro cervello che si attiva a dispetto del fatto che oggi serpenti e ragni costituiscano un pericolo per la vita molto meno realistico di automobili e armi da fuoco. Gli psicologi evolutivi però non spiegano come mai, se alcuni individui nutrono una reale avversione per questi animali e possano addirittura presentare reazioni fobiche, altri invece li collezionano o li allevano (vedi gruppi su Facebook). Il fatto è che la psicologia evolutiva non ha interesse a indagare la variabilità umana ma solo a tracciare l’origine di caratteristiche umane considerate “universali” – la sessualità, la religione, la percezione del bello – alla luce dell’adattamento evolutivo.

Un vasto campo di interesse riguarda le differenze tra donne e uomini nei diversi aspetti dell’attività sessuale e le relazioni tra i sessi. Ed è proprio analizzando il comportamento sessuale umano in termini adattativi e paragonandolo a quello dello scorpione-mosca che gli psicologi evolutivi Randy Tornhill e Craig Palmer [1] hanno scritto che lo stupro è una strategia evolutiva tesa ad assicurare la trasmissione del patrimonio genetico dei maschi alla generazione successiva. Tom Bethell – un giornalista scientifico che ha recensito il libro diventato presto molto popolare – commenta affranto il mutamento della sensibilità sociale rispetto agli anni ‘70, quando alla notizia di un libro in cui lo stupro è presentato come un comportamento adattativo e in un certo senso inevitabile, i collettivi studenteschi, femministi e non, sarebbero scesi in piazza infuriati. Sempre rimanendo nell’ambito delle differenze di genere Buss and Hamilton [2] hanno pubblicato nel 2005 un articolo in cui sostengono che l’emozione della gelosia ha nell’uomo caratteristiche diverse (e potenzialmente violente) rispetto al tipo di gelosia proprio delle donne perché la gelosia maschile ha a che fare con il bisogno di certezza circa la paternità. È ovviamente impossibile verificare se l’uomo dell’età della pietra avesse già sviluppato il concetto di paternità e, tantomeno, se lo ritenesse un problema, ma in questo modo anche la gelosia omicida all’origine dei moderni femminicidi può essere decorosamente riportata ad una pulsione “adattativa” che ha le sue radici nella selezione naturale. Per la psicologia evolutiva, infatti, i tratti psicologici universali dell’uomo si sarebbero evoluti e stabilizzati in un arco di tempo che va tra 1,7 milioni e 12.000 anni fa e questi tratti persisterebbero oggi nonostante non servano più allo scopo per cui sono stati selezionati. Steven Pinker, uno dei più celebrati esponenti della scuola, ha riassunto questa convinzione nella frase “La nostra moderna scatola cranica contiene una mente dell’età della pietra”, diventata una specie di slogan della psicologia evolutiva. Naturalmente questo assunto pone ogni affermazione al riparo da qualsiasi verifica sperimentale.

Il metodo degli psicologi evolutivi consiste essenzialmente nell’“osservare una caratteristica (comportamentale o psicologica) e produrre una fantasiosa ricostruzione della storia umana che possa suggerirne un significato adattativo” [3]. Le spiegazioni si basano su una logica interna e circolare e assumono spesso caratteri grotteschi; come nel caso della preferenza delle donne per tutte le gamme del rosso [4], la cui origine evolutiva viene fatta risalire al Pleistocene quando le donne raccoglievano le bacche (colorate di varie sfumature di rosso) e gli uomini cacciavano; oppure l’universale gradimento per i pratini delle case suburbane [5] che sarebbe una sorta di memoria evolutiva della savana in cui la nostra specie ha abitato, un ricordo del nostro lontano passato come le madeleine per Proust.

Jay Gould [6] – tra i primi a denunciarne l’inconsistenza scientifica – definisce le affermazioni degli psicologi evolutivi delle “storieproprio-così” parodiando il titolo del libro di Rudyard Kipling “Just so stories” dedicato ai bambini per farli addormentare. Ma Gould ha anche immediatamente riconosciuto la pericolosità del “fondamentalismo darwiniano” che considera l’uomo e la sua mente come il mero prodotto di un “programma adattativo”, una sorta di algoritmo innescato dall’evoluzione allo scopo di assicurare il successo riproduttivo dell’individuo. Un primo pericolo è quello di trasmettere una versione parziale e scorretta della teoria di Darwin. Gli adattamenti non sono affatto l’unico meccanismo evolutivo; il drift genetico, la pleiotropia, l’exattazione, le ripetute catastrofi ambientali, tutti hanno giocato un ruolo nel renderci quello che siamo. Ma gli psicologi evolutivi sembrano essere impermeabili ai dati della paleontologia, della biologia e della genetica di popolazione che smentiscono la loro semplicistica lettura di un fenomeno complesso qual è la selezione naturale. L’altro grave pericolo rappresentato dalle affermazioni della psicologia evolutiva riguarda la loro ricaduta sul senso comune e sugli indirizzi di pensiero della società contemporanea. Un’idea riduttiva dell’evoluzione basata sul solo meccanismo adattativo ha un grande valore euristico: è un concetto che non richiede alcuno sforzo interpretativo per apparire convincente. Siamo abituati a pensare in modo deterministico: se un certo organo serve per questa o quell’altra funzione altrettanto può essere vero per un certo tratto psicologico o reazione comportamentale. Diffondere la convinzione che la psiche dell’uomo (e della donna) sia riducibile a una immodificabile biologia che ne determina i comportamenti, significa negare alla società e alla cultura ogni influenza e valore nella vita degli individui. Gli psicologi evolutivi e i loro paladini sono perfettamente consapevoli delle implicazioni socio-politiche delle idee che trasmettono [7] [8]. Tanto da dichiarare che la loro visione dell’umanità ha il benefico effetto di sopire i conflitti sociali perché “liberandoci da distruttive fantasie di cambiamento che la nostra storia evolutiva rende irrealizzabili” ci fa accettare la realtà così com’è. C’è da notare, inoltre, che la teoria secondo cui la vita sul pianeta si è sviluppata seguendo un “programma adattativo finalizzato” è pericolosamente vicina all’ipotesi del “disegno intelligente” con cui molti credenti e i meno fanatici tra i creazionisti hanno sostituito il dio antropomorfo delle religioni tradizionali. A meno di non voler aderire al manifesto dei filosofi ultradarwinisti [9] [10] che spostano all’indietro il livello d’azione della selezione naturale, dalle specie e gli individui alle sequenze nucleotidiche che li costituiscono, i geni, i quali userebbero egoisticamente il corpo dei viventi per promuovere la loro sopravvivenza; ne consegue che mente, significati e scopi dell’umanità sarebbero soltanto il risultato della cieca volontà di riproduzione di frammenti del nostro DNA.

La psicologia evolutiva è diventata estremamente popolare, soprattutto tra i non addetti ai lavori e tra la gente comune. Indubbiamente gioca a suo favore il fatto che c’è qualcosa di ammaliante nell’idea di uno stretto adattazionismo – il sogno forse di una basilare semplicità alle fondamenta di un mondo enormemente complesso e vario. Ma negli ultimi anni l’approccio evolutivo alla psicologia umana sembra aver guadagnato un ulteriore credito a giudicare dal moltiplicarsi di articoli che in rete e sui giornali commentano con entusiasmo nuove e vecchie “scoperte” degli psicologi evolutivi e recensiscono i loro libri. La ragione è da ricercarsi nella nuova alleanza che questi ultimi hanno stretto con le neuroscienze e con le metodiche di brain-imaging in particolare.  Come esempio, valga per tutti il tema degli acquisti, cosa e chi motivano i nostri consumi e perché facciamo shopping anche in modo compulsivo. È un argomento di grande interesse per il mercato e più in generale per il mondo economico, come dimostrato dal tipo di riviste che pubblicano i lavori su quest’argomento [11] [12], le cui conclusioni, poi, vengono riprese e amplificate dai media [13]. L’idea di partenza è la solita: noi consumiamo perché siamo fatti così, il nostro cervello ha sviluppato nel corso dell’evoluzione quei circuiti neurali che innescano il desiderio di “volere di più”. Tutta colpa del Pleistocene, quando c’era poco di tutto e gli uomini erano indotti ad accumulare ogni sorta di beni e a volere quelli accumulati da altri [14]. Questo istinto è ancora ben presente nell’uomo di oggi perché acquisire cose produce un’immediata gratificazione che ci fa sentire meglio. Dunque la voglia di shopping dell’età moderna avrebbe la stessa origine delle razzie tra gli uomini dell’età della pietra perché entrambe le attività dipendono – e qui sta la verniciatura scientifica di questa storia-proprio-così – dalla liberazione di dopamina [15]. La dopamina è un neurotrasmettitore cerebrale implicato in molte funzioni; tra le tante le viene attribuita quella di essere liberata in relazione alla sensazione di piacere che si prova quando si riceve una ricompensa o un premio. Questo non significa, come suggeriscono gli psicologi evolutivi, che sia la dopamina prodotta dal cervello a indurci a comprare e a continuare a desiderare di comprare per farci sentire ogni volta come se ricevessimo un premio; al massimo possiamo ipotizzare (ma senza avere prove sperimentali) che il piacere dello shopping si accompagna alla liberazione di dopamina. Il che vuol dire che la dopamina non è la causa ma solo un correlato (finora ipotetico) del piacere degli acquisti.  Gli esperti di marketing sanno che i consumatori comprano più volentieri le cose pubblicizzate da personaggi celebri. Anche per questa propensione la psicologia evolutiva ha prodotto un’elaborata spiegazione “neuroscientifica”. L’osservazione di partenza è che gli esseri umani (soprattutto i maschi) hanno da sempre mostrato la tendenza a formare gruppi chiusi e compatti tra persone che si conoscono tra loro. E gli uomini provano la loro appartenenza al gruppo lottando contro coloro che fanno parte di un gruppo diverso [16]. Quando una celebrità sponsorizza un prodotto l’attrazione per quel prodotto aumenta enormemente perché l’individuo comune percepisce la persona celebre come facente parte del proprio clan e dunque meritevole di fiducia e, poiché nel cervello è insito il bisogno di omologazione con gli appartenenti al gruppo, ci si ritrova a desiderare e infine a comprare quello che il personaggio suggerisce di comprare. A supporto di questa spiegazione gli psicologi evolutivi chiamano in causa il nucleo caudato, una struttura eminentemente motoria a cui si riconosce un ruolo nei processi esecutivi che richiedono la scelta tra due differenti comportamenti.  Nel 2003 un lavoro di brain-imaging [17] ha riportato che nell’uomo una porzione del nucleo caudato si attiva quando la decisione su quale comportamento adottare deve basarsi sulla fiducia nei confronti di chi propone la scelta.  Questo dato (che per altro non ha trovato sicure conferme) è stato sufficiente perché la psicologia evolutiva attribuisse a una specifica struttura cerebrale il meccanismo biologico che governa una decisione che riguarda gli acquisti, una decisione tutto sommato triviale che certamente non ha a che fare con la sopravvivenza della specie, ma solo con la moderna società dei consumi.

Definire gli psicologi evolutivi nemici del pensiero, come i più retrivi tra i papi o i grandi tiranni, è probabilmente eccessivo, ma non è eccessivo denunciare che con le loro “storie-proprio-così” insultano il metodo scientifico e offendono l’intelligenza dei loro lettori.

Note

[1] Tornill R. and Palmer C.  A natural history of rape: biological bases of   sexual coercion. MIT Press (2000).

[2] Buss J. and Haselton R. The evolution of jealousy. Trends in Cognitive Science (2005) 9: 506-507.

[3] Lewontin R., Rose S. and Kamin L. Not in our genes. Pantheon Books Ed. (1984).

[4] Gerianne M.A. An evolutionary perspective of sex-typed toy preferences: pink, blue and the brain. Archives of Sexual Behavior (2003) 32: 7-14.

[5] Pinker S. Come funziona la mente. Mondadori Ed. (2002).

[6] Gould S.J. Darwinian fundamentalism. The New York Review (1977 June 12).

[7] Fukuyama F. The great disruption: human nature and the reconstitution of social order. Free Press (2001).

[8] Pinker S. Tabula Rasa. Perché non è vero che gli uomini nascono tutti uguali. Mondadori Ed. (2006).

[9] Dawkins R. Il gene egoista. Mondadori Ed. (1995).

[10] Dennett D. The selfish gene as a philosophycal essay. http://ase.tufts.edu/cogstud/dennett/papers/selfishgene.pdf (2005).

[11] Durante K.M. and Griskevicius V. Evolution and consumer psychology. Consumer Psychology Review (2018) 1: 4-21.

[12] Mohaidin Z.  An evolutionary psychological approach to consumer choice. International Journal of Business and Social Research (2012) 2: 126-142.

[13] Fastenau J. On the origin of shopping (www.medium.com).

[14] Prenderport G. and Ching Lam C. An evolutionary explanation for shopping behavior. Journal of Consumer Mercating (2013) 30: 366-370.

[15] Naish J. Enough is enough. The Times (12 January 2008).

[16] Westen D. The Political Brain. PublicAffairs Ed. (2017).

[17] Eliott R. et al. Differential response patterns in the striatum and orbitofrontal cortex to financial reward in humans: a parametrical fMRI study. Journal of Neuroscience (2003) 23: 303-307.