“Maschio e femmina Dio li creò”!?
Lorenzo Bernini
Il titolo che ho scelto è una citazione del versetto 1, 27 della Genesi – “Maschio e femmina Dio li creò” – a cui ho aggiunto un punto esclamativo e uno interrogativo. E vorrei spiegarvi il senso di questa aggiunta poco elegante e piuttosto “pop”. Ho aggiunto il punto esclamativo per esprimere un tono imperativo: infatti, dal momento che tutto quello che Dio fa è cosa buona e giusta, le descrizioni degli atti divini contenute nella Bibbia devono essere lette come prescrizioni. In particolare, il versetto 1, 27 della Genesi deve essere letto come una frase che ci ordina: “Tu devi essere maschio oppure femmina – punto esclamativo! – perché così vuole Dio”.
Il punto interrogativo simboleggia, invece, la collocazione che ho scelto di assumere di fronte a questa ingiunzione divina. Per illustrare questa collocazione, mi è però necessaria una breve digressione. In un saggio del 1950, Hannah Arendt riflette sul proverbio secondo cui “non si può fare una frittata senza rompere le uova”, e per farlo assume il punto di vista delle uova. Il testo si intitola, infatti, The Eggs Speak Up: Le uova prendono la parola. La filosofa ebrea sostiene che al proverbio secondo cui “non si può fare una frittata senza rompere le uova”, le uova preferirebbero il principio enunciato da Clemenceau in occasione dell’affaire Dreyfus: “l’affare di uno è affare di tutti”. Con queste parole, Clemenceau intendeva affermare che nessun cittadino francese poteva sentirsi garantito nelle sue libertà di fronte a uno Stato che discriminava gli ebrei, perché la libertà delle minoranze è garanzia anche della libertà della maggioranza. Parole che non dovremmo mai dimenticare e che ci saranno utili anche per comprendere l’attuale biopolitica dei sessi.
Con il punto interrogativo ho voluto segnalare che la mia collocazione, nell’analisi che propongo, non è quella di un soggetto che si pretende universale e neutrale, ma è consapevolmente particolare e parziale. L’oggetto del mio intervento è infatti il binarismo sessuale, cioè quel dispositivo biopolitico che impone alla nostra sessualità una divisione netta a due termini: maschio-femmina, uomo-donna.
Seguendo la lezione di Arendt, nelle mie riflessioni cercherò di dare la parola a quelle uova che devono essere rotte per fare quelle frittate che sono le identità tradizionali degli uomini e delle donne: ai soggetti intersessuali (o intersex) e transgender (o semplicemente trans*) che non si conformano a queste identità.
Transgender
È innanzitutto il caso di chiarire il significato di “transgender”, termine polisemico che si è diffuso nel movimento lesbico gay trans in seguito alla pubblicazione, nel 1992, di un libro di Leslie Feinberg intitolato Transgender Liberation [1]. In senso stretto, si definiscono transgender le persone che si identificano con il genere opposto al sesso di nascita ma che scelgono di non sottoporsi alla riassegnazione chirurgica del sesso: si può essere transgender ad esempio vestendo i panni del genere desiderato, scegliendo per sé un nome proprio del genere desiderato, assumendo eventualmente ormoni e modificando alcuni tratti del proprio corpo, ma senza intervenire chirurgicamente, o intervenendo solo parzialmente, sui propri genitali. In senso lato, la categoria può essere estesa anche alle persone transessuali, che sono invece quelle che desiderano modificare anche i propri genitali per diventare il più possibile simili al “sesso” di elezione: secondo questa interpretazione “transgender” (o trans*) è un termine di ampio significato che contiene al suo interno tanto il concetto di transessuale, quanto quello di transgender in senso stretto, quanto ancora altri concetti che esprimono non conformità di genere (non-binary, genderfluid, agender…).
In un testo del 2004, Fare e disfare il genere [2], Butler utilizza il termine transgender per contestare il senso comune (che è anche senso medico e giuridico) secondo cui il genere è una conseguenza del sesso. Assumendo la prospettiva genealogica di Foucault, Butler opera un interessante rovesciamento di prospettiva e sostiene che sono le norme di genere a rendere culturalmente significative le differenze sessuali dei corpi, anche le differenze genitali: è il sesso che deriva dal genere, e non il genere dal sesso. Butler si spinge ancora oltre: fin da Questione di genere [3] ha sostenuto infatti che nell’ordine simbolico tradizionale il genere è un epifenomeno dell’orientamento sessuale. Al cuore del binarismo sessuale si troverebbe cioè il dogma dell’eterosessualità obbligatoria: sarebbe il dovere dell’eterosessualità a rendere culturalmente significativa le differenze tra i generi, e sarebbe poi l’importanza culturalmente attribuita alle differenze tra i generi a rendere culturalmente significative anche le differenze corporee tra i sessi. Leggi che impongono con nettezza il binarismo sessuale – come nell’interpretazione che i tribunali italiani hanno dato per più di trent’anni della legge n. 164 del 1982, che considerava necessari gli interventi chirurgici ai genitali al fine di poter ottenere il cambiamento anagrafico del sesso, ora almeno parzialmente superata dalle sentenze del 2015 della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale [4] – secondo Butler sono quindi in ultima istanza riconducibili a una rigida interpretazione del dogma dell’eterosessualità obbligatoria: poiché la norma eterossessista impone che gli uomini debbano desiderare le donne e viceversa, allora è fondamentale che non esistano ambiguità nello stabilire chi è uomo e chi è donna. Il fatto è che, in realtà, non è affatto facile “disambiguare” le identità sessuali.
Anche una legislazione più aperta come quella che negli ultimi anni si sta facendo strada nel nostro paese – con le sentenze citate del 2015, con il riconoscimento delle coppie dello stesso sesso nel 2016 [5] – risente ancora di quella logica binaria per cui le distinzioni sono comunque a due termini: maschio e femmina relativamente al sesso, uomo e donna relativamente al genere, eterosessuale e omosessuale relativamente all’orientamento sessuale. Di fatto queste distinzioni non sono sufficienti a dar conto della complessità delle costituzioni corporee e delle identità sessuali degli esseri umani, come possiamo capire bene considerando la questione dell’intersesso.
Intersessualismo
L’intersesso è una condizione fisica prima che psicologica. Intersessuale è infatti un individuo il cui corpo presenta caratteri intermedi tra quelli maschili e quelli femminili. Secondo le stime statistiche dell’Intersex Society of North America, nasce intersessuale un bambino ogni duemila. Questo significa che, se la popolazione italiana è stimabile attorno ai 60 milioni di abitanti, le persone intersessuali in Italia sono probabilmente attorno alle 30 mila unità. Al di là dei dati statistici, mi sembra che l’intersesso, al pari del transgenere, possa valere come cartina tornasole per comprendere la violenza insita nel binarismo tradizionale così com’è stato interpretato nelle società tradizionali, e come ancora è interpretato nel nostro ordinamento giuridico. Come le persone trans*, infatti, anche le persone intersex sono considerate intrattabili dal nostro sistema giuridico e simbolico, e per questa ragione vengono “trattate” dal nostro sistema sanitario.
Un esempio di intersesso, è la cosiddetta sindrome di Klinefelter, che è l’esito di una variazione genetica: chi ne è affetto non ha due cromosomi sessuali (i canonici XX delle femmine, e XY dei maschi), ma tre: due cromosomi X e un cromosoma Y. Per la presenza del cromosoma Y, i portatori della sindrome, o meglio le persone XXY – come loro preferiscono chiamarsi – sono classificati dalla medicina come maschi. Alla nascita, in effetti, appaiono maschi, ma quando giunge la pubertà possono non sviluppare i caratteri secondari maschili: in alcuni casi, non hanno barba, né pomo d’Adamo, né spalle larghe, né voce profonda, non sviluppano pene e testicoli di dimensioni ritenute “normali”. Possono invece avere voce sottile, fianchi arrotondati, spalle spioventi, e talvolta sviluppare il seno. Un altro caso di variazione cromosomica è il mosaico genetico o mosaicismo, in cui il corpo ospita due diverse popolazioni di cellule, alcune con cromosomi XX e altre con cromosomi XY. Le persone che ne sono portatrici possono avere aspetti diversi: alla nascita possono avere genitali tipicamente maschili, genitali tipicamente femminili, oppure genitali intermedi. E con la pubertà possono assumere caratteristiche intermedie tra il maschile e il femminile (ad esempio avere il seno e assieme la voce bassa e la barba…). Le loro gonadi possono avere tessuti misti, sia ovarici sia testicolari (ovotestis), e possono produrre sia spermatozoi sia ovuli. Altri esempi di intersesso, dovute non più ad atipicità cromosomiche, ma ad atipicità del metabolismo del testosterone, sono la cosiddetta Sindrome da Insensibilità agli Androgeni (AIS) e il deficit di steroido 5-alfa-reduttasi. In entrambi i casi, alla nascita i genitali sono diversi da quelli standard: anche quando esternamente sono del tutto simili alla vulva, la vagina può essere poco profonda, e all’interno dell’addome non si trovano utero e ovaie, ma testicoli. In alcuni casi di Sindrome da Insensibilità agli Androgeni, e nella quasi totalità dei casi di deficit di steroido 5-alfa-reduttasi, con l’adolescenza può intervenire una virilizzazione significativa del fenotipo, compresi i genitali, con crescita evidente dell’organo erettile. Un altro caso che può essere associato all’intersesso è l’Iperplasia Surrenale Congenita, che consiste in un funzionamento atipico delle ghiandole surrenali che producono poco cortisolo e poco aldosterone. La conseguenza è un aumento di testosterone, che nelle persone con cromosomi XX può provocare la comparsa di caratteri secondari maschili (peli, barba, voce profonda), crescita dell’organo erettile fino a dimensioni ritenute atipiche per una clitoride, talvolta vagina poco profonda e fusione delle grandi labbra. Ma questi sono soltanto pochi esempi di un’amplissima varietà di condizioni.
Nella storia dell’umanità le persone intersessuali sono state celebrate da miti e leggende, ma sono anche state ampiamente perseguitate. Nel 1978 Foucault ha curato la pubblicazione delle memorie di Herculine Barbin, detta Alexina B. [6], una persona intersex francese vissuta nell’Ottocento. Nelle memorie si legge che ad Herculine Barbin, soprannominata Alexina, alla nascita fu attribuito il sesso femminile. Fu quindi educata come una bambina, in un convento. Con l’adolescenza scoprì di essere attratta dalle compagne, si innamorò di una di esse e ne divenne amante. Per questo fu processata, e la sentenza decretò la sua trasformazione legale in uomo, stabilendo che il suo vero sesso fosse quello maschile, e che i medici che l’avevano visitata da neonata avessero commesso un errore: in una società dominata dal dogma dell’eterosessualità obbligatoria, se un soggetto si innamora delle donne, allora è un uomo. E se è un uomo, allora deve essere anche biologicamente maschio. Così Alexina fu costretta a indossare abiti maschili – e si suicidò.
Nel caso ottocentesco preso in esame da Foucault, quindi, le autorità mediche cercarono nel corpo intersessuale di Alexina, e soprattutto nella sua biografia, i segni del suo “vero sesso”. Invece a partire dalla metà del Novecento, da quando si è iniziato a praticare interventi di riassegnazione genitale, negli Stati Uniti e in Europa, e in buona parte del mondo, i medici hanno iniziato a intervenire direttamente sul corpo delle persone intersessuali, normalizzando chirurgicamente poco dopo la nascita l’aspetto dei genitali, e in seguito modificando i caratteri sessuali secondari con terapie ormonali. Questo avviene purtoppo ancora, anche in Italia.
Sia chiaro, la mia intenzione non è di negare, ma al contrario di difendere il diritto delle persone intersessuali a modificare chirurgicamente il proprio corpo e ad assumere ormoni in modo da adeguare il proprio corpo alla propria identità. Ma la mia intenzione è anche quella di contestare la normalizzazione forzata delle persone intersessuali. Non è così in tutto il mondo: in Colombia, in Germania, a Malta, in Portogallo è vietato praticare interventi di chirurgia estetica sui genitali di persone che non abbiano ancora raggiunto l’età del consenso. Divieto che ritengo necessario per il rispetto dei diritti umani: perché questi interventi chirurgici e queste prescrizioni di ormoni, se sono praticati su neonati incapaci di scegliere sulla propria identità e il proprio corpo, oppure se sono presentati come cure necessarie o come unica scelta possibile a degli adolescenti in situazione di grave disagio emotivo, altro non sono se non mutilazioni genitali e corporee dettate dal dogma del binarismo sessuale. L’occidente grida giustamente allo scandalo di fronte all’infibulazione che viene praticata in alcuni paesi islamici africani; ma farebbe bene a farsi un esame di coscienza e a proibire una volta per tutte le mutilazioni genitali che vengono praticate nei propri ospedali. Ad esempio, le bambine con Iperplasia Surrenale Congenita subiscono ancora oggi interventi di “apertura” e “approfondimento” della vagina e di “accorciamento” della clitoride, anche a costo di perdere la sensibilità clitoridea. E le persone con Sindrome da Insensibilità agli Androgeni, pur essendo genotipicamente maschi (XY), vengono ancora sovente ricondotte al genere femminile: si accorcia l’organo erettile, si pratica una vaginoplastica, si prescrivono estrogeni – e la neovagina, a rischio di stenosi, spesso deve essere operata nuovamente nel corso degli anni. Sembra che i medici non abbiano dubbi: è meglio essere una femmina imperfetta piuttosto che un maschio imperfetto – forse perché il regime del binarismo sessuale è un regime maschilista, in cui le donne sono considerate imperfette per natura [7].
In conclusione
Transgenere e intersesso sono condizioni psicologiche e fisiche prodotte dalla logica binaria del dispositivo moderno della sessualità e rese intelligibili dalle sue categorie. Non rappresentano pertanto un “oltre” del binarismo, perché non negano il fatto che la sessualità degli umani, così come riusciamo a pensarla oggi, si dia tra gli estremi del maschile e del femminile. Però la presa di parola di soggetti trans* e intersex, la loro rivendicazione di una piena umanità, può provocare un dislocamento del binarismo sessuale, un suo sabotaggio che potrebbe portare a un suo migliore funzionamento. Dare ascolto ai soggetti trans* e intersex significa infatti disporsi ad accettare che la sessualità non si esaurisce in un’alternativa rigida e netta tra il maschile e il femminile, ma si configura come una gradazione multipla (sul piano dei cromosomi, della produzione e assimilazione ormonale, dell’aspetto generale del corpo, dell’identità…) tra il maschile e il femminile ricca di sfumature.
NOTE
[1] Leslie Feinberg, Transgender Liberation: A Movement Whose Time Has Come, World View Forum Pub, New York, 1992. Il libro è liberamente consultabile in versione pdf all’indirizzo https://www.workers.org/books2016/Feinberg_Transgender_Liberation.pdf
[2] Judith Butler, Fare e disfare il genere, Mimesis, Milano-Udine 2014.
[3] Judith Butler, Questione di genere. Il femminismo e la sovversione dell’identità, Laterza, Roma-Bari 2017.
[4] Corte di Cassazione, sentenza 20 luglio 2015, n. 15138; Corte costituzionale, sentenza 5 novembre 2015, n. 221. Benché queste sentenze abbiano eliminato l’obbligo di interventi chirurgici ai genitali, il rinnovo dei documenti continua a dover essere autorizzato da una sentenza di tribunale che richiede perizie psicologiche, e la procedura resta dispendiosa in termini di tempo e denaro, nonché emotivamente provante.
[5] Legge 20 maggio 2016, n. 76. Tale legge, approvata a fatica in seguito a una condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo e a un richiamo del Parlamento europeo, riconosce le coppie omosessuali. Tale riconoscimento è però avvenuto nella forma di un’unione civile che non soltanto non consente alle persone contraenti l’accesso alle tecniche di riproduzione assistita e all’adozione (neppure alla stepchild adoption), ma addirittura nega loro lo statuto di famiglia, introducendo una discriminazione tra coppie eterosessuali e omosessuali. L’art. 1 comma 1 recita infatti: “La presente legge istituisce l’unione civile tra persone dello stesso sesso quale specifica formazione sociale”, cioè come formazione sociale differente da quelle già riconosciute dell’ordinamento giuridico, comprese le famiglie.
[6] Adelaide Herculine Barbin, Herculine Barbin detta Alexina B: una strana confessione: memorie di un ermafrodito, a cura di Michel Foucault, Einaudi, Torino 1979.
[7] Per approfondimenti si veda: Michela Balocchi (a cura di) Intersex. Antologia multidisciplinare, Prefazione di Lorenzo Bernini, Edizioni ETS, Pisa 2019.