Mente umana e menti non umane

Marirosa Di Stefano         

Negli studi sulle basi biologiche e l’evoluzione delle funzioni cognitive superiori viene quasi inevitabilmente citata la frase di Darwin che recita “Le differenze mentali fra l’uomo e gli animali superiori, per quanto grandi, sono certamente di grado e non di genere” [1]. In altre parole Darwin ritiene che esista una sostanziale continuità tra le capacità cognitive espresse dal cervello animale e quelle umane.

Negli ultimi 30 anni questa convinzione è stata suffragata da osservazioni sul campo e da dati sperimentali ottenuti soprattutto nelle grandi scimmie (Pongidi) ma anche nei delfini e in alcuni uccelli. Ma tra i ricercatori l’accordo non è unanime [2]. Una parte degli studiosi di biologia e di psicologia comparata, infatti, sostiene che nel corso dell’evoluzione si sia verificata una discontinuità nello sviluppo delle facoltà mentali tale da differenziare la mente umana da quelle non umane. Il divario riguarderebbe principalmente due facoltà considerate appannaggio esclusivo dell’uomo: il linguaggio e la cosiddetta “Teoria della mente”.

Teoria della mente (TOM) è un’espressione che indica la capacità di attribuire agli altri desideri, intenzioni, conoscenze diverse dalle proprie e di modulare il proprio comportamento in base a questa consapevolezza.

Per valutare la presenza e lo sviluppo della TOM nei bambini sono stati elaborati test di difficoltà crescente in cui la comprensione degli stati mentali altrui è in relazione non solo ad un evento specifico ma anche al contesto sociale.

Il più elementare di questi test è quello detto degli Smarties, tipicamente somministrato ai bambini in età prescolare. Gli Smarties sono pasticche di cioccolato contenute in un caratteristico tubo di cartone variamente colorate. Ai bambini viene mostrata una persona che tira fuori gli Smarties dal contenitore e ne mangia alcuni; poi chiude il tubo ed esce dalla stanza. In sua assenza una seconda persona toglie i cioccolatini dalla scatola e li sostituisce con delle matite. Ai bambini viene chiesto cosa ritengono che la prima persona pensi di trovare nel tubo degli Smarties quando rientra nella stanza. La risposta corretta è “i cioccolatini” a indicare che già i bambini piccoli comprendono il pensiero di un altro anche quando questo non è conforme alla realtà. Questa abilità cognitiva è detta attribuzione di falsa credenza ed è alla base della coscienza di sé, cioè del sapere di essere un individuo separato dai consimili i quali hanno anch’essi una propria mente; è inoltre considerata il meccanismo mentale indispensabile per comportamenti sociali quali l’inganno e la collaborazione, la trasmissione di conoscenze e la comunicazione con altri individui.

La difficoltà maggiore che incontra lo studio della TOM negli animali è quella di elaborare test di falsa credenza che riflettano situazioni familiari agli individui non umani e che prevedano una risposta non verbale, del tipo movimento spontaneo degli occhi in una certa direzione o altro movimento del corpo attraverso cui si può inferire il pensiero o la convinzione del soggetto in esame.

I test a cui sono stati sottoposti i primati non umani in cattività sono molto ingegnosi ma finora non hanno fornito una dimostrazione universalmente accettata della presenza della TOM nelle scimmie [3].  Le ricerche effettuate sugli animali nel loro habitat naturale, però, contrastano con i dati sperimentali. L’esempio più eclatante riguarda gli scimpanzé che in libertà manifestano spesso comportamenti diretti a trarre intenzionalmente in inganno altri membri della loro specie [4]. E questo indicherebbe che, come noi, i primati non umani sono in grado di comprendere che gli altri hanno convinzioni e che queste possono essere manipolate.

Un nuovo e forse più fruttuoso approccio al problema è quello di studiare le basi biologiche e le uscite comportamentali di quei diversi aspetti della cognizione (per esempio la capacità di pianificare il futuro e di ricordare il passato, l’empatia, l’attitudine alla collaborazione e all’imitazione) che nel loro insieme determinano le facoltà mentali che chiamiamo Teoria della mente. La ricerca dunque si sta muovendo verso lo studio dei “mattoni” cognitivi basilari per lo sviluppo della mente [5].

In questa luce è interessante osservare come la memoria episodica e la programmazione del futuro sia una capacità condivisa da molte specie animali (dagli uccelli che conservano il cibo o nascondono gli oggetti, come le gazze, alle grandi scimmie, passando per alcune specie di roditori) e che dipende da strutture neurali analoghe presenti nelle diverse specie pur nella diversità dei loro cervelli. Allo stesso modo il comportamento di imitazione motoria che si osserva nei primati liberi nel loro habitat (su cui si fonda l’apprendimento intraspecifico di conoscenze essenziali per la sopravvivenza) dipende con ogni probabilità dalla popolazione di neuroni specchio. Queste speciali cellule nervose rappresentano il meccanismo grazie al quale gli atti motori altrui, percepiti visivamente, vengono codificati nelle aree motorie dell’individuo che osserva mettendolo in grado di eseguirli. L’esistenza di neuroni specchio è stata dimostrata anche negli uccelli [6] e potrebbe spiegare l’apprendimento del canto che negli uccelli tenuti in isolamento a cui è impedito di ascoltare il canto dei consimili risulta impossibile o gravemente danneggiato.

Nel loro insieme queste osservazioni suggeriscono che le abilità cognitive basilari dipendono da meccanismi nervosi evolutivamente molto antichi tanto che si ritrovano anche in specie tassonomicamente molto lontane tra loro. E si può ipotizzare che il diverso sviluppo funzionale di queste abilità sia il risultato di un adattamento delle specie alle diverse nicchie ecologiche.

Infine, se alla base delle facoltà mentali considerate tipicamente umane ci sono meccanismi neurali comuni agli animali non umani, allora Darwin aveva ragione ed esiste un continuum lungo il quale si collocano la nostra mente e le altre menti che abitano il pianeta.

NOTE

[1] Ch. Darwin, The descent of man, 1871, Ed. J. Murray London.

[2] D. C. Penn, K. J. Holyoak, D. J. Povinelli, Darwin’s mistake: explaining the discontinuity between human and nonhuman primates, in Behav. Brain Sci. 31, 2008, pp. 109-130.

[3] D. C. Penn, D. J. Povinell, On the lack of evidence that nonhuman animals possess anything remotely resembling a “theory of mind”, in Philos. Trans. R. Soc. Lond. B Biol. Sci. 362, 2007, pp. 731-744.

[4] F. B. de Waal, Chimpanzee politics: power and sex among apes, Ed. Johns Hopkins University Press, Baltimore (MD), 1982.

[5] F. B. de Waal, P. F. Ferrari, Towards a bottom-up perspective in animal and human cognition, in Trends Cogni. Sci. 14, 2010, pp. 201-207.

[6] J. F. Prather et al., Precise auditory-vocal mirroring in neurons for learned vocal communication, in Nature 405, 2008, pp. 305-310.