Una sfida matematica agli evoluzionisti
Francesco D’Alpa
È ben nota la lunga opposizione dei religiosi all’idea di Darwin; tanto più serrata ed arrogante quanto più l’evoluzionismo si imponeva quale spiegazione dell’origine e dello sviluppo delle forme viventi ed in particolare dell’uomo. Ben poco si poteva del resto opporre agli argomenti di Darwin e dei suoi solidali, se non il racconto biblico ed il senso di vergogna suscitato dall’idea dell’uomo-scimmia. Ma non per questo sono mancati i tentativi di invalidarli sullo stesso piano scientifico; e fra questi quelli dei gesuiti, che gli hanno dedicato ampi spazi polemici su La Civiltà Cattolica.
L’attenzione mi è recentemente caduta, in particolare, su di un articolo del 1873, del gesuita Beniamino Palomba, che ritenne di avere invalidato “matematicamente” (e dunque su di una base quanto mai “razionale” e “scientifica”) le tesi di parte avversa.
Sin dall’incipit l’articolo, dopo un apparentemente cordiale invito ai geologi, non difetta in quanto al tono offensivo, tipico della rivista in questi anni:
Mentre noi ci occupiamo nell’esaminare l’opinione dei moderni geologi intorno all’antichità preistorica del genere umano, ci viene in pensiere d’invitare cotesti scienziati, che vogliano attendere ad una nostra considerazione. Se essi tengono questo invito, potranno, senza distogliersi dai loro studii, spaziare un poco insieme con noi per la luce aperta, anzi potranno elevarsi in alto a quelle regioni che percorrono i pianeti, e salire eziandio sino alle stelle fisse; laddove a noi, per intendere il valore delle loro specolazioni, fa mestieri penetrare al buio entro le viscere della terra, e ravvolgerci pe’ sepolcri e per la caverne ossifere. Ma a fare che essi pieghino l’orecchio alle nostre parole, basta, se non altro, quella natural simpatia, per la quale ognuno, quando vede che gli uomini tengono conto delle cose sue, anch’egli, se non è uno zotico, tien conto delle cose loro.
Qual è la tesi del gesuita di turno?
avendo essi [geologi] scoperto che gli uomini comparvero sulla terra trecentomila anni innanzi ad Adamo, il quale fu il primo degli uomini storici; noi dall’altra parte abbiamo tentato di contare il numero degli uomini che, in questa loro ipotesi, doveano esser vivi quando apparve Adamo, e lo abbiamo trovato di quattrocentotrentaquattro cifre.
Veniamo dunque alla dimostrazione. Partendo dall’accettabile ipotesi che gli uomini preistorici si siano replicati a partire da una sola coppia, così come la Bibbia afferma di Adamo ed Eva, egli ipotizza che la popolazione sia aumentata di un trecentesimo per ogni anno, raddoppiandosi (tenuto conto delle morti) in media ogni duecento e otto anni (ma il tempo sarebbe stato minore se le coppie originali fossero state di più, come affermano in molti); suppone inoltre che questa crescita sia rimasta costante, dal momento che questi primitivi (prima dell’uso del ferro e dell’invenzione delle armi) non avrebbero combattuto fra di loro, ma solo con le belve. In quanto al tasso di crescita applicato, padre Palomba si dichiara generoso verso la controparte, in quanto ne applica perfino uno minore di quello che si riscontrerebbe al suo tempo, nel quale, secondo taluni demografi, la popolazione raddoppierebbe in Europa in centotrenta anni, e negli Stati Uniti in soli venticinque.
Premesso questo, secondo i calcoli del gesuita, trecentomila anni dopo l’origine dell’uomo primitivo
il numero degli uomini vivi, quando appare Adamo […] si compone di quattrocentotrentatré zeri preceduti da una unità. Or questo numero è tale, che non v’ha parole ad esprimerlo né nella nostra lingua, né in tutte le altre lingue o vive o morte; e, ciò che è più, oltrepassa affatto gli ultimi confini della nostra immaginazione, siccome potrà intendere chi vuol seguirci nel discorso che verremo svolgendo.
Il fulcro della dimostrazione sta infatti nella dimostrazione matematica che in trecentomila anni la terra non sarebbe stata per nulla in grado di contenere una tale massa umana. Vediamo perché.
Nel 1873, un miliardo e trecentomilioni di uomini sono distribuiti su di una superficie di terre emerse pari a “centoventimila miliardi di metri quadrati”, ovvero all’incirca “centomila metri quadri” a testa, che si ridurrebbero a diecimila se la popolazione aumentasse di dieci volte (ammesso che la sua produttività alimentare sia sufficiente a sostenere un tale incremento).
Ma torniamo ai primitivi. Quanti ne potrebbe accogliere la terra intera? Esclusa la possibilità della penetrabilità dei corpi, se ne stipassimo dieci in ogni metro quadrato, avremmo posto per soli un milioneduecentomilamiliardi. Decisamente pochi, rispetto agli esclusi, ovvero
un numero di quattrocentotrentatré cifre, di cui le prime quattrocentodiciassette sono tutti 9 e le due seguenti sono 8 e le ultime quattordici sono zeri.
Dove collocare tutta questa gente? Ammettiamo di costruire su tutte le terre emerse case di un metro di altezza per ogni piano ed alte fino alla luna, ovvero di trecentosessanta milioni di piani. Se in ogni piano di queste case abitassero 10 uomini, per un totale pari ad “un numero di ventiquattro cifre”, gli esclusi sarebbero ancora pari a “ un numero di quattrocentotrentatré cifre”; ed anche se arrivassimo ad edificare fino al sole, tale numero calerebbe di sole “quattrocentovolte tanto”; né sarebbe sufficiente giungere fino agli estremi del nostro sistema planetario, perché nonostante la possibilità di fare ora posto a uomini preistorici “in numero di trentaquattro cifre”, sarebbe ancora quasi niente “verso quelle quattrocentotrentaquattro cifre di uomini preistorici che domandano posto, senza ormai doversi lasciare ogni speranza di appagare simili dimande”.
Qualcuno potrebbe comunque domandarsi: perché non occupare anche gli spazi rimanenti fra la raggiera di case che si elevano dalla terra? E perché non immaginare che, prosciugati i mari, la terra divenisse tutta abitabile? Purtroppo, niente di risolutivo: anche così non ci sarebbe spazio sufficiente. Anche se togliessimo agli uomini la gravità, dando loro la possibilità di abitare “tutto lo spazio sferico, il cui centro è la terra e la cui superficie è il cielo stellato”, avremmo fatto poco più che togliere al mare un solo litro di acqua!
Dopo ulteriori pagine di calcolo e qualche formula, che non vale la pena riportare, il nostro apprendista matematico palesa tutto il suo orgoglio, per la felice impresa:
Forse a taluno saranno sembrati troppi questi nostri calcoli, o anche curiosi ed inutili. Ma noi dal nostro canto abbiamo prescelto di esporci al rischio di esser qui chiamati prolissi e di aver ogni altra taccia dai lettori perspicaci; anzi che patire che restasse uno solo, tuttoché di tardo ingegno, il quale non giungesse a farsi una chiara idea della smisurata grandezza del numero di cui parliamo.
E non è finita. Questa smisurata moltitudine di primitivi si deve supporre ancora più grande se, come affermano molti geologi, le coppie iniziali sono state dieci o cento, o se l’aumento della popolazione è stato di un duecentesimo anziché di un trecentesimo, come appena calcolato. Ma al piccolo matematico non manca un tanto di compassione verso i geologi; e per questo sostiene:
in tutti i calcoli, che abbiamo fatto qui innanzi, non abbiamo lasciato mai di dar prova del modo amichevole e diciamo anche generoso, che avevamo proposto di usare con essi. Qualunque numero ci è venuto sulla carta, abbiamo tirato un fil di penna, ed abbiamo sempre sostituito in sua vece ora un numero maggiore ed ora uno minore, facendo tutte queste sostituzioni a discapito nostro e a loro profitto. Perciò possiamo tener come certo, che i medesimi scienziati mentre hanno da approvare a pieno i nostri calcoli, nello stesso tempo pensino come pensiamo noi, che non vi poterono esser mai tanti uomini, quante sono le unità di un numero di quattrocentotrentaquattro cifre.
Per poi ribadire:
noi abbiamo fatto un computo per chiarire una tale quistione, e vogliamo riferirlo, colla speranza che cotesti scienziati ce ne sapranno grado; stante che lo abbiamo fatto non solo vestendoci, come si dice, de’ loro panni, ciò tenendo la causa loro come se fosse la nostra; ma altresì scegliendo sempre, come ne’ calcoli precedenti, le ipotesi più favorevoli a loro, che a noi.
Come appare ben chiaro, lo sfidante è assolutamente convinto di trovare disarmati i geologi, infine tacciati di cattiva scienza:
noi domandiamo ad essi, che ci riferiscano donde mai accadde, che gli uomini preistorici non toccarono il numero sopraddetto al principio del tempo storico; mentre non che toccarlo, lo avrebbero anzi, stando alle supposizioni che essi fanno, dovuto superare di molto. Ma lasciamo ch’essi meditino a tutto agio la risposta, e risolvano una questione, la quale chi percorre i loro libri, può dire senza temerità che essi nemmeno sospettavano che vi fosse. Rivolgiamoci intanto a quegli altri geologi, anche difensori dei tempi e degli uomini preistorici, i quali benché non si sieno bene internati colla loro scienza in questa difficoltà, pur nondimeno non può negarsi che ne abbiano in qualche maniera subodorata la gravezza.
Nulla, secondo il gesuita, avrebbe potuto contrastare la crescita della popolazione; né una ridotta fertilità né
il non poter vivere comodamente, l’abitare in case ristrette e miserabili, la licenza de’ costumi, la diminuzione de’ matrimonii, le carestie, le pestilenze, le guerre, l’infanticidio e l’antropofagia,
come oggi si constata nei “popoli selvaggi”; in pratica tutti quei fattori addotti ad esempio da Darwin, o da quanti ipotizzano l’intervento estintivo di catastrofi naturali (ad esempio: i raffreddamenti del periodo glaciale; o anche un diluvio, diverso da quello biblico).
Ma eccoci all’affondo finale, ovvero alla controprova. Sappiamo, afferma Palomba, che al diluvio sopravvissero solo
Noè co’ tre figli, le mogli di questi e quella di Noè. Da costoro siamo derivati noi, che nel corrente anno viviamo sulla terra in numero di un miliardo e trecento milioni. Finalmente, argomentando dalla esperienza costante, si può supporre che l’aumento annuale degli uomini, dal diluvio sino a quest’anno 1873, sia stato in termine medio di un ducentoventottesimo. Premesso ciò, noi abbiamo calcolato il numero di anni, che son dovuti passare, acciocché col detto aumento otto uomini giungessero ad un miliardo e trecento milioni; ed abbiamo trovato che questi anni sono quattromilatrecentoventi. Or, secondo il computo de’ migliori cronologi viventi, da Noè sino a noi sono trascorsi quattromilatrecentocinquantacinque anni; dal qual numero quello calcolato da noi non differisce se non di trentacinque. A questa guisa noi ragioniamo degli uomini dell’epoca storica.
La controprova biblica sarebbe dunque decisiva, laddove invece i geologi non sono capaci di spiegare ad esempio le supposte “catastrofi” con conseguenti “esterminazioni”, delle quali
non resta niun vestigio, mentre al certo ne sarebbero dovuti restare moltissimi, ove le medesime fossero veramente accadute.
Non sarebbero infatti rimaste tracce né degli uomini, né delle loro opere, laddove
la grande antichità dell’uomo sarebbe [invece] scritta nell’ossatura del mondo, in caratteri più leggibili della forma dell’antica vegetazione.
Ed eccoci all’esortazione finale:
Da tutto ciò è manifesto che i nostri scienziati, stando a quello che han detto fin qui su tali questioni, s’incontrano in difficoltà insuperabili dovunque si voltino. E dunque mestieri che essi rifacciano meglio i loro studii, e che piglino una volta in mano questi gruppi e li sciolgano. E per questo effetto a noi è paruto convenientissimo di proporli alla loro considerazione.
Gran cosa la (propria) ragione, specie se matematica, quando (sragionando) va in parallelo con la fede!
Riferimento bibliografico:
Beniamino Palomba. Una proposta ai fautori degli uomini preistorici. La Civiltà Cattolica, serie VIII, vol. XI, fasc. 555 (19 luglio 1873), pp. 265-282.