Dialogo su Dio
Stefano Marullo
Voltaire (V): Grazie di avere accettato questo dialogo. Finora abbiamo duellato con i nostri scritti e, a dirla tutta, i nostri ermeneuti non hanno sempre riportato fedelmente l’essenza dei nostri pensieri.
Leibniz (L): Figurati, fa sempre piacere essere chiamato ad una dotta discussione su un così sublime Soggetto. Chissà, verrà il tempo, forse, in cui Dio verrà dichiarato morto o sarà privo di interesse per molti. Saranno probabilmente i tempi bui che precederanno la fine dei tempi e in cui si compirà il misterium iniquitatis secondo quanto riportano le Sacre Scritture.
(V): Ovviamente da filosofi quali siamo vorrei che ci sforzassimo a discettare secondo ragione e non per profezie.
(L): E proprio la ragione impone prudenza, poiché parlare su Dio vuol dire parlare per Dio.
(V): Che è in fondo quello che hanno sempre fatto gli eminenti rappresentanti di tutte le religioni. Un Dio timido che non disdegna di parlare agli uomini attraverso altri uomini nella migliore delle ipotesi o nella peggiore, flatus vocis che tentano di asseverare ciò che non è o non può essere.
(L): Che non disdegna però di parlare nell’intimo di ogni uomo. La ragione è il sillabario universale. L’idea di perfezione che ci portiamo innata rimanda proprio a Dio.
(V): Ecco vedi, il principio di Causa Sui però rimanderebbe ad una sorta di pienezza che non giustificherebbe l’incapienza della creazione.
(L): Ne determina invece l’assoluta gratuità. Dio non è prigioniero della sua onnipotenza.
(V): Sottile la tua sortita, ma non inoppugnabile sul piano razionale. Alcuni tra i più raffinati teologi, forse non popolarissimi in virtù delle loro posizioni presso il Magistero, hanno sostenuto che Dio completa la creazione facendosi uomo negando, en passant, che il male, e segnatamente il peccato, possano essere considerati incidenti di percorso nel piano divino. Dio non solo completa la creazione, ma in qualche modo si completa nella creazione. Mero strumento del suo capriccio, pur onnipotente …
(L): La nostra natura di esseri pensanti ci spinge a considerare l’interdipendenza con Dio, per la nostra connaturata passione per il principio di causalità. Io credo che questa connessione non sia necessaria, nell’eterogenesi dei fini, per chi può cavare dalle pietre i figli di Abramo.
(V): Nella Bibbia, così come la conosciamo, Dio non fa altro che rimediare al male prodotto dall’uomo (anche da qualche angelo ribelle che pare non avesse messo in conto) dal diluvio fino alla sconfitta dell’Anticristo. E non sembra ci vada tanto per il sottile. Poteva lasciar correre se l’interdipendenza non gli fosse dirimente. Parafrasando Dante, se così infima è la fattura, qualche responsabilità la deve prender il fattore.
(L): Ha voluto l’universo “curvo”. Ha voluto esaltare le rose in mezzo ai rovi. Probabilmente voleva sorprenderci.
(V): Tu sei il teorico del migliore degli universi, che ti parlo a fare.
(L): Il limite è unicamente nella nostra percezione.
(V): L’intenzionalità della coscienza è un gran bel concetto, che naufraga nella consapevolezza della coscienza infelice.
(L): La vita è un soffio a conti fatti di fronte all’eternità.
(V): Il solo pensiero di essere eternamente felici mi inquieta. La noia è un sentimento nobilissimo. In cuor tuo hai mai pensato che anche Lui si possa essere annoiato per inventarsi l’avventura della creazione?
(L): Non è plausibile alcuna carenza in Lui. Solo pienezza che trabocca.
(V): Ha traboccato maluccio però. Guerre, terremoti, pestilenze, ingiustizia, omicidio, furto, tirannia …
(L): Sullo sfondo una luce, che tutto irradia e il male scomparirà per sempre.
(V): Purché non scambi la rassegnazione dei vinti per pazienza dei giusti.
(L): Ogni lacrima sarà asciugata.
(V): In questo modo avete convinto il povero e il perseguitato che tutto ciò che è reale è razionale. I despoti e i reazionari di ogni tempo sentitamente ringraziano.
(L): C’è la morte, formidabile livella che riporta alla polvere ricchi e poveri, potenti e umili.
(V): Ma c’è anche una vita agiata per gli uni e insopportabile per altri, somma ingiustizia. Proviamo a lasciarlo nella sua onnipotente incomunicabilità, Dio c’è ma non può fare nulla per noi.
(L): Mettiamola così. Se Dio ci parlasse alla pari, dovremmo essere altrettanto Dei. La nostra comprensione è per gradi, tutto ci sarà chiarissimo alla fine.
(V): La sofferenza è però alla massima potenza hic et nunc, siamo gettati in un universo di nequizia e mestizia che viene quasi la tentazione di pensare che solo un Essere Superiore perverso poteva avere tanta inventiva.
(L): Io credo che Dio soccorra coloro che ama, in modo imperscrutabile, che al culmine della disperazione Lui arrivi in qualche modo.
(V): No grazie, continuerò a vivere etsi deus non daretur, perseguendo il bene in quanto bene, razionalmente palpabile e redistribuente, e a combattere il male.
(L): E Lui continuerà a esserci che tu ne abbia contezza o meno.
(V): Anche in questo eone si dice “sono con te” ma è un modo per affermare in fondo che sei solo e devi farcela lo stesso. La religione ha posto in essere, insieme a vere oscenità, uno stupefacente vademecum consolatorio che non sposta di un millimetro la realtà. Non ho visto finora alcuno che possa spostare una montagna in forza della sua fede.
(L): Devi sapere che tutte le montagne che vediamo provengono dai fondali marini con uno spostamento che non avremmo potuto mai immaginare. E continuano a spostarsi in modo impercettibile.
(V): Ma il punto è proprio questo, non vogliamo essere consapevoli di un destino che ci riguarda.
(L): Nelle Scritture leggiamo di un uomo, di nome Giobbe, che sopporta ogni male e quando prova ad interrogare Dio questi gli dice: “Dov’eri tu quand’io ponevo le fondamenta della terra?”. Come si può pensare di entrare nella mente di Dio?
(V): Tu sei un alfiere della teodicea.
(L): La teodicea è sforzo umano di comprensione della Rivelazione ma si ferma ad un punto dove approda la fede perché altrimenti si perderebbe la rotta.
(V): Verso l’isola che non c’è probabilmente.
(L): Se ci limitiamo a giudicare la realtà per quello che vediamo o sentiamo.
(V): Perché non dovremmo? Perché dovremmo affidarci a ciò che non vediamo o non sentiamo?
(L): Noi ci affidiamo all’onnipotenza che non è la migliore caratteristica per descrivere ciò che è umano ma abbiamo il privilegio di avere scampoli di questa verità e di esserne partecipi per quanto sia possibile ad un bicchiere contenere l’oceano.
(V): Il tuo è un invito alla firma di una cambiale in bianco.
(L): Chiamalo sacrificio dell’intelletto.
(V): Ebbene io ritengo che senza l’intelletto facciamo fatica a comporre l’idea stessa di uomo concepito quale essere al vertice della creazione.
(L): Tutto quello che “cediamo” ci verrà restituito, decuplicato.
(V): Preferisco soffocare di inedia che di promesse illusorie.
(L): Anche questo nostro dialogo comincia a farsi soffocante.
(V): Tranquillo, ti invierò ogni anima infelice alla quale non sarò capace di spiegare che questo è il migliore degli universi possibili.
(L): Se la tua filosofia non è capace di farlo è una cattiva filosofia.
(V): Impostore!
(L): Provocatore!